Miti e storie del giornalismo sportivo, nato per emozionare

19 Maggio 2016 di Stefano Olivari

Come facevano i giornali sportivi a vendere più di adesso in un’Italia in cui l’analfabetismo in senso stretto, non quello funzionale di cui si parla soltanto da poco, sfiorava il 50%? La battuta facile è che i giornali sportivi sono fatti proprio per gli analfabeti, la verità banale è che oggi esistono molti altri modi di informarsi. Questo non toglie che la stampa sportiva italiana abbia avuto una grande importanza nel migliorare la cultura di base del paese, portando verso la lettura masse di persone fino a quel momento interessate soltanto alla propria vita quotidiana anche perché il tempo libero dal lavoro non esisteva (i concetti di weekend lungo, apericena e wellness non erano ancora stati sdoganati). Importante è quindi l’opera di Gianfranco Colasante, che nel suo Miti e storie del giornalismo sportivo – La stampa sportiva italiana dall’Ottocento al Fascismo (editore Garage Group, Roma) analizza le vite e le carriere di uomini monumento e di illustri sconosciuti, accomunati dall’essere stati per anni punti di riferimento di appassionati e addetti ai lavori.

Da Costamagna a Emilio De Martino, passando per Cougnet, Lando Ferretti, Emilio Colombo, Bruno Roghi, Giuseppe Ambrosini e tanti altri, si arriva fino all’epoca di Gianni Brera (Brera escluso, anche se vengono citati molti suoi velenosi giudizi sulle generazioni che lo avevano preceduto) attraverso il racconto, portato avanti con il tono giusto e un linguaggio per niente polveroso, di storie che spiegano il senso del loro passaggio in questo mondo. Significativo è che quasi nessuno nasca come giornalista e che al giornalismo siano tutti arrivati da altre professioni e spesso per caso, dopo un incontro fortunato o una raccomandazione per trovare un lavoro, uno qualsiasi. In quasi tutti la passione per lo sport superava quella per la scrittura in senso stretto, differenziando così questo settore fin da subito dal resto del giornalismo italiano. L’esempio degli esempi è Vittorio Pozzo, impiegato alla Pirelli per arrivare alla fine del mese e straordinario allenatore (non pagato) nei ritagli di tempo, che fino alla morte avvenuta nel 1968 fu una firma importante della Stampa.

In altre parole, molti dei difetti e dei pregi del giornalismo sportivo sono spiegabili con le sue origini: racconto che deve emozionare le masse e creare contrapposizioni o discussione, non critica (che pure esisteva, anche più di adesso) rivolta al classico pubblico dei giornali. Un giornalismo ritenuto di serie B, decisamente non adatto (ieri e oggi) a chi snobba la materia e a chi insegue una carriera nel senso piccolo borghese dell’espressione. Colasante, giornalista di Pescara che ha lavorato per decenni al CONI e che attualmente dirige un sito molto interessante, www.sportolimpico.it, ha il merito di non proporre alcuna tesi: il suo è un lavoro di ricerca davvero completo, rielaborato molto bene e proposto anche con un certa ironia. Speriamo davvero di leggerne il seguito, anche se è chiaro che la supremazia indiscussa della parola scritta si ferma agli anni Quaranta.

Share this article