Meglio i videogiochi di oggi

23 Febbraio 2012 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Il culto acritico del passato, con il sottinteso era tutto meglio, ha contagiato addirittura la fantascienza. Ma non impedisce di scrivere capolavori come Player One, titolo originale Ready Player One: di notte chi frequentava le sale giochi negli anni Ottanta si sogna ancora queste tre parole, così come il tamarro (il nostro incubo si chiamava Aniello) che pretendeva il gettone omaggio. E’ il titolo del romanzo che Ernest Cline ha dedicato apparentemente ai videogiochi ma in realtà a un rapporto sano con i mezzi tecnologici totalizzanti. Un libro pieno di citazioni alla portata di tutti (Space Invaders, PacMan, Dungeons and Dragons) ed altre oltre il confine del maniacale anche per chi come noi ha avuto quasi tutto: dal Ping-O-Tronic (Regalo di Natale 1977, con l’aggiunta del Gun-o-tronic: stiamo parlando di un tennis giocato da due linee verticali, di un calcio tre contro tre, sempre linee, e di un tiro al bersaglio dove il bersaglio era un quadrato bianco) alla PlayStation, passando per Intellivision (il set shot del basket era vettoriale come il nostro sul campo reale), Commodore 64 e Sega MegaDrive.
La storia è ambientata nel 2044, con il pianeta semidistrutto dall’inquinamento e da una crisi economica iniziata diversi decenni prima (oggi?) che ha distrutto la classe media e ampliato un sottoproletariato urbano che trova sollievo solo in Oasis, una realtà virtuale creata da tale James Halliday. In Oasis non si può solo giocare, ma anche studiare, lavorare e in definitiva vivere: una chiara parodia di quel Second Life che qualche anno fa entusiasmava tutti e che adesso è finito nel dimenticatoio. Alla sua morte Halliday lascia in eredità Oasis e il suo immenso patrimonio a chi riuscirà a risovere una serie di enigmi, articolati su tre livelli, riguardanti le sue passioni e soprattutto le sue ossessioni: videogiochi, fumetti, film e musica, tutto rigorosamente degli anni Ottanta. La sfida viene raccolta da mezzo mondo, dalle grandi corporation (fra queste la cattivissima IOI) che vogliono mettere la mani su Oasis (che Halliday ha voluto lasciare gratuito per gli utilizzatori) ai nerd come il protagonista: Wade, che partendo da una baracca di Oklahoma City e affidandosi solo alla sua intelligenza si mette in competizione con chi può stritolarlo sia nella vita reale che in quella virtuale.  
Il diciottenne Wade ha sempre avuto Halliday e gli anni Ottanta come riferimento, perdersi nei suoi meccanismi mentali è una sorta di romanzo nel romanzo. Con un numero accettabile di personaggi, nel senso che non ci si perde, unito ad un passo narrativo notevole. Tranne che quando si dilunga nella descrizione di traiettorie virtuali e di battaglie: parodia, non sappiamo quanto consapevole, dei giochi di ruolo ma anche dei semplici e basic ‘sparatutto’ (shoot ’em up, per gli amanti del genere). Ben delineati i caratteri, tutti fra il reale e il prorio avatar in Oasis: Art3mis, Aech, Shoto, eccetera. Di culto immediato la figura di Ogden Morrow, il socio della prima ora di Halliday: l’ex nerd sopravvissuto al visionario uomo marketing. Facile il parallelismo Wozniak-Jobs.
Citazioni molto americane: facile seguire le dissertazioni su Casa Keaton o Ritorno al futuro, più difficile seguire quelle su trasmissioni televisive mai sentite (almeno da noi). Sul piano emotivo il solito contrasto fra un presente, sia pure… futuro, freddo e impersonale con un passato pieno di concretezza e di cose presunte vere. Insomma, quei buoni tempi andati che piacciono ad ogni colore politico e che ispirano tanti temi di terza media con correzione cattocomunista, oltre che la maggior parte dei servizi giornalistici (Articolo uno: lo stupro è colpa di Facebook, non dello stupratore). Per loro natura gli anni Ottanta poco si prestano alla mitizzazione, ma piuttosto al cazzeggio. Cline dimostra di saperlo bene e si tiene sempre un passo dietro l’effetto nostalgia. Prendendo anche un po’ in giro, fra le righe, un fenomeno dei nostri giorni e non del 2044: la nostalgia non solo del proprio passato, ma anche (come nel caso di Wade) di un passato che non si è vissuto. Un grande romanzo (in Italia edito da Isbn), a dispetto di chi chi dice che il romanzo è morto: ovviamente quelli di una volta erano meglio.

Twitter @StefanoOlivari 

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