Il secondo mandato di Scandal

17 Giugno 2014 di Stefano Olivari

Fra le varie passioni inutili e improduttive della nostra vita coltiviamo quella per Scandal, la serie di cui si è da poco conclusa la terza stagione italiana (la ABC ha già in programma la quarta, con il cast quasi al completo ad eccezione di Harrison, uno dei collaboratori di Olivia Pope, ma non l’ha ancora girata) in un delirio di colpi di scena che farebbe star male qualunque giurato dei David di Donatello: la madre di Olivia hostess terrorista tenuta vent’anni prigioniera del padre capo di un servizio segreto deviato, con uccisione del figlio del presidente per impietosire gli americani e fargli guadagnare la rielezione, il colpo di genio della vicepresidente teocon che si candida come indipendente alla presidenza e poi ammazza il marito cripto-gay, più incroci fra i passato e il presente di tutti i personaggi secondo l’unica grande regola che niente è mai davvero finito e ogni situazione può ribaltarsi. Fra le mille serie ambientate fra Casa Bianca e dintorni Scandal è probabilmente la meno verosimile, ma proprio per questo è impossibile staccarsene. Il ‘vediamo cosa si inventano adesso’ è una droga, così come l’ironia sui meccanismi della comunicazione e le contraddizioni concentrate nella figura dell’uomo più potente del mondo: repubblicano e bianco ma fatto parlare con gli stessi argomenti di Obama, preoccupatissimo di non perdere quel voto che noi chiameremmo ‘moderato’, schiavo dei legami e delle aspettative familiari, indeciso su tutto, con atteggiamenti da pensatore ma in realtà senza alcuna ideologia o anche soltanto idea (praticamente Moratti, però bisognoso non solo di buona stampa ma anche di voti). La terza stagione si chiude con Fitzgerald Thomas Grant III rieletto, per fortuna ci aspettano altri quattro anni di Scandal. Come minimo, perché per Shonda Rhimes e il suo staff (la creatrice di Grey’s Anatomy della terza stagione ha scritto solo 2 episodi su 18) inventarsi una modifica costituzionale è l’ultimo dei problemi.

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