L’ultimo vero sport

24 Maggio 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
La strada Giardino, scenario maestoso con la cornice di una folla straripante, spalanca le porte al Monte Grappa e alla settimana Messner del Giro d’Italia. Con tutti i distinguo, che proporremo in seguito, stiamo vivendo una delle edizioni più belle ed incerte dell’era moderna.
Corsa rosa parecchio gialla, non solo per l’incertezza del finale (Agathie Christie docet) ma soprattutto per lo stile pirotecnico della contesa; che sembra una riedizione di alcune annate del Tour anni ottanta, come i massacri divertiti dell’83 e dell’87. Palio privo di un faro, quindi combattuto e reso durissimo anche dalle restrizioni evidenti ai rabbocchi: scendendo la Cadorna, verso l’Asolo che in cuor gli sta, Squalo Nibali entra finalmente nell’immaginario concreto del pubblico che segue, più o meno distrattamente, il ciclismo dei grandi eventi. La Mestre-Monte Zoncolan, la tappa più dura dell’anabasi rosa, è stata troppo per i denti di Vincenzo ma quell’esibizione funambolica (alla Nencini) è una promessa di giorni di gloria springsteeniani; poi la curiosità di testare a ogni picco i cosiddetti big, dopo la Caporetto del dì aquilano, è veramente ai massimi livelli.
La ciliegina sulla torta sarebbe ammirare a Verona uno che sul podio più alto non parli spagnolo, annoiati dalla prospettiva del trionfo finale di un Arroyo qualsiasi, quello sbagliato: David non è infatti Angel, il diesel della Reynolds che proprio nel 1983 arrivò a una salita (in più) da una Grande Boucle vinta. Dimenticato dagli “storici” degli sfregaselle, l’iberico fu l’apripista della new wave di Picassolandia, primo capitano del gruppo Echavarri; l’anno prima di quel Tour perse al pisciatoio una Vuelta strameritata, sintomo di un ruolo (quello del magnifico perdente) che sopportò con la grinta dei tenaci.
La Zomegnana sembra comunque scivolare, per fortuna sua e nostra, verso una recita dal fascino sicuro: il figliol prodigo Basso e Cappuccetto Iridato Evans come attori principali; Bitossino Scarponi, il lupo Vino e la nonna Sastre co-starring. Ieri, salendo il moloch della Carnia con lo sguardo lisergico, siamo rimasti sorpresi della consuetudine meravigliosa dei gesti pedalati: c’erano centocinquantamila indiani, il Corona vero e il boato della montagna sacra. Quando poi finiremo di parlare di stadi all’aria aperta ma, ribaltando finalmente la prospettiva escheriana, di terza dimensione ciclistica autentica (quella rituale, selvatica e irriproducibile altrove), sarà sempre troppo tardi.
Tecnicamente ci aspettano ancora tre frazioni di pesantezza inaudita: potremmo vedere il 14 Luglio 1789 su asfalto oppure, vista la stanchezza dei protagonisti, la classica montagna che partorisce un topolino. Se poi ai media interessano l’acqua calda (tipo le “clamorose” rivelazioni di Landis) o il capovolgimento della realtà (da ricovero immediato il Riccò intervistato da La Stampa che definisce monotono questo Giro..) sono affari loro: le visioni infangate del Chianti, quelle wagneriane del Grappa e mahleriane dello Zoncolan ci consegnano l’ultimo vero sport (antispot) dello scibile moderno. Malgrado Don Rodrigo e i bravi, ovvero l’Uci, felicissimi del Tour of California: concorrenza veramente sleale, sponsorizzata dai nuovi faraoni e con la partecipazione della crema dei Tourannosauri. In un mondo perfetto un Modigliani come la rosa 2010 andrebbe protetto e coccolato, in questo (tra un Bernie Madoff e l’altro) ci tocca navigare a (s)vista.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

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