L’orgoglio del signor Mivar

16 Febbraio 2012 di Fabrizio Provera

di Fabrizio Provera
Dunque la carovana del basket italico riparte dalle finali di coppa Italia a Torino. Tappa obbligata e scelta più che condivisibile, per uno sport pirandelliano e in cerca d’autore, nonché di idee, uomini e risorse, per un rilancio che proietti la nostra pallacanestro fuori dalle secche di una crisi che tuttavia fa trasparire isole felici, elementi positivi ed anti-ciclici. Si riparte da Torino, città dalle stimmate nobili e sabaude, luogo d’elezione per uno sport – il basket – che mantiene un fascino aristocratico e villano. La Torino senza più squadre di alto livello, il cui orologio biologico resta fermo agli anni Ottanta e ai fasti della grande Berloni di Carlo Della Valle (padre di cotanto Amedeo, speranza azzurra delle high- school a stelle e strisce), del conte Charly Caglieris e di Scott May, l’americano più sabaudo che abbia calcato i parquet nostrani.
Non c’è futuro senza origine, non c’è slancio senza tradizione: quindi spazio al Palaolimpico di corso Sebastopoli, del resto la toponomastica torinese è ricca di contraddizioni roboanti: nell’unica città italiana dove sopravvive una stirpe di monarchi senza titolo, gli Agnelli, uno dei viali principali resta quello dedicato a Carlo Marx. Forse è un contrappasso dell’epoca Marchionne e dell’articolo 18 perennemente traballante, poi non fa nulla se la discussione non tocchi quasi alcun italiano sotto i 40 anni, ma tant’è..
Spulciando tra le statistiche della Coppa Italia si scoprono cose davvero interessanti ed inattese: nel 1968, mentre soffiavano venti di guerra e il direttore di questo sito lanciava i primi vagiti, la prima edizione fu vinta dalla Fides Napoli. Alzi la mano invece, tra i tifosi dell’Olimpia, chi sa o ricorda che la prima vittoria della Scarpette Rosse giunse esattamente 40 anni fa, nel 1972, e proprio a Torino; in panchina il principe Cesare Rubini (e chi può darci torto, a noi fissati dell’aristocrazia cestistica?), il Simmenthal batte la grande Ignis Varese (vincitrice delle tre precedenti edizioni, sempre a proposito dell’antico lignaggio della formazione di Bob Morse, Manuel Raga e compagni) 81-77. L’epoca delle Final Four dura dal 1990 al 1999, quella delle Final 8 dal 2000 ad oggi. Tra i migliori marcatori di sempre, poffarbacco, svetta un certo Joe Bryant: nella stagione 1984-85 il papà del Mamba mette a segno 271 punti con la casacca dell’American Eagle Rieti. Segue altra nobiltà cestistica da anni Ottanta dei canestri: Oscar Schmidt da Caserta, 248 punti con Caserta nell’edizione 1986, a seguire Dale Solomon, 245 con Treviso nel 1984. Da brivido i nomi di alcuni Mvp delle scorse edizioni: Orlando Woolridge (1995), Rolando Blackman (1996), Manu Ginoboli (2002). Il giocatore più vincente, con 5 trionfi, è invece il lungo di Cantucky Denis Marconato.
A proposito di Cantucky: per noi che siamo devoti al sangue (bianco)blu della Bennet, ieri Andrea Trinchieri ha fatto il punto della situazione. Pillole di pensiero del visionario coach canturino: “Ci apprestiamo a giocare le Final 8 sulla scorta di una stagione pirandelliana, ancora in cerca di un autore preciso. E’ una competizione dove, come recita un consumato adagio, non si sa chi beve e chi paga. Avellino, la nostra prima competitrice, arriva leggera e senza nulla da perdere. Inoltre lo scorso anno eliminò Milano, non dimentichiamocelo. Andiamo a Torino con un Doron Perkins non ancora pronto, ma che giocherà. Dopo i primi giorni, posso dire che è un giocatore dalle caratteristiche per noi interessanti. Ancora una volta, quest’anno, ci confrontiamo con una situazione mentale sospesa tra il dover fare e il poter fare. Trattandosi di partite secche, tutto è possibile. Nella parte alta del tabellone vedo tuttavia favorite Milano e Siena, mentre non mi esprimo su Pesaro-Venezia, match dal pronostico impossibile. Quando l’Eurolega per noi sarà finita, spero avvenga il più tardi possibile, la dimensione mentale e temporale della partita unica a settimana, sulla scorta dell’esperienza di questi mesi, ci porterà a raccogliere quanto abbiamo seminato. Sino ad allora, dobbiamo dare il meglio ogni volta. E’ l’unica ricetta”. Così parlò Trinchieri.
L’operosa Brianza marcia quindi su Torino. Memore del famoso rimbrotto che Carlo Vichi, industriale del televisore e attuale patron ultraottuagenario della Mivar, 50% del mercato italiano sino all’invasione turco-cinese, rivolse indirettamente al re di Torino durante un’audizione in Regione Lombardia, anno 1990: “Quali banche finanziano la mia attività? Nessuna, in Lombardia e a Milano i veri industriali si finanziano da soli. Lei che sonnecchia, guardi che il sottoscritto possiede 800 miliardi di lire in soli Cct. Non siamo mica come la Fiat o la famiglia Agnelli, noi. I soldi non li chiediamo né alle banche, né allo Stato”.


Fabrizio B. Provera, 16 febbraio 2012

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