Lifting da Armani

10 Gennaio 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Il doppiopetto alla Rubini, le risatine dietro a Peterson, il ricordo di Friz, il messaggio di Pianigiani, l’arte di Paolo Conti, la storiella di Proli, la domenica di Roma e le giustificazioni di Crosariol. Voti a: Marconato, Sacchetti, Vitucci, Zorzi, Napoli, Meneghin, Zancanella, Toti, Recalcati e Green.

Oscar Eleni dall’ottagono fiorito di Westport, Irlanda, contea di Mayo. Posto magico sul fiume Carrowbel, posto intrigante per chi ama le scalate di espiazione e prega San Patrizio, casa del Botox: l’elisir della giovinezza, il segreto del lifting per chi odia le rughe e ama la faccia dei vent’anni pur avendone settanta. Ci siamo andati seguendo Enrico Franceschini, giornalista bolognese di valore, appassionato di basket ai tempi della Bologna che si esaltava per grandi squadre e non per grandi progetti quasi sempre sbiaditi dal tempo sulla carta, per capire se il gruppo Armani prima di rivestire Dan Peterson con il blu della casa, giacca, non pulloverino da fighetto, per fortuna giacca perché lo stile Olimpia, il doppiopetto alla Cesare Rubini dovrebbe prevalere su tutto il resto, ha voluto portare il nano ghiacciato nello stabilimento Allergan dove si confezionano le fiale che hanno fatto la fortuna di tanti attrici, attori, uomini famosi, donne disperate.

Ci hanno detto che non serviva. Peterson è un settantacinquenne che non beve, non fuma e va a letto presto se non lo chiamano dall’America. Certo è un tipo che fa parlare, e come, di basket, ma la cosa disturba le Terese del nuovo pallincesto, quelle che non vedevano l’ora di poter titolare che a Cremona il Nano ha vinto alla Piero Bucchi. Oh meraviglia, ma allora perché tormentare il povero ex allenatore dell’Olimpia? Ma, soprattutto, perché non far notare che in sette giorni non si cambia niente della circolazione sul campo con o senza palla, ma forse si può cambiare l’atteggiamento dei giocatori? Almeno questo lo avranno notato le stesse terese venerdì che ridevano alle spalle di Peterson quando a lui faceva comodo che ci fosse ironia dietro un sistema ben oliato, dove c’era una squadra, una famiglia e tutti quelli che l’hanno lasciata la rimpiangono anche se magari dalla nuova Armani si sono visti sbattere la porta in faccia.

Come possono testimoniare gli amici del povero Friz che volevano portarlo a vedere una partita di Milano quando era ormai ridotto in sedia a rotelle, quando stava per morire, quando si sono sentiti dire che non ricordavano un giocatore del genere nella vecchia Olimpia. Memoria corta di chi adesso salta da una sedia all’altra per sparare aneddoti sul Nano Ghiacciato, nome e cognome, facendo capire che lo hanno sempre venerato e protetto. Già, anche quando se ne scappò via da SKY intossicato dai miasmi del Lambro. Già, anche quando ha dovuto guardarsi intorno perché il suo conto in banca svaniva e le dichiarazioni dei redditi andavano oltre l’Oceano, si fermavano in Svizzera facendogli rischiare l’arresto perché in Media non stat semper virtus.

Meglio delle Terese il messaggio sublime di Simone Pianigiani che ha voluto portare la squadra in un centro anziani
tanto per far capire che a 75 anni si può ancora essere svegli e, magari, mettendo Eze nel motore, si può diventare pericolosi anche per il Montepaschi che vive la maledizione europea se McCalebb si fa male ad un piede, e il Bolt dei canestri per bruciare l’acero bianco ha bisogno di caviglie esplosive.

Isola di smeraldo attraente come la mostra dell’ex grande cestista Paolo Conti che invita tutti i maturi baskettari, ma anche quelli nuovi
quelli che ridono del petersonismo da uno tre uno, alla mostra della Paci Arte in via Trieste a Brescia. Conti, pittore ma anche scultore, ricicla pezzi rifiutati dando loro una nuova vita e un senso alla loro esistenza. Deve andarci subito chi sente suonare i campanelli.

Corra verso Brescia chi scopre che il ragazzo Gentile prende cinque metri dall’alpino Mian, chi si accorge che Marconato è certo meglio di Crosariol al massimo della forma, chi deve ammettere che si può considerare lo scarto come un alfabeto della propria narrativa se Milano ci ha messo così tanto a cercare Peterson raccontando in giro la storiella che fa comodo a Proli: ”Siamo ripartiti da zero quando abbiamo preso in mano la società”. Be’, non stimando né Corbelli né Natali, ci sembra di ricordare che con Lardo in panchina fu giocata una finale scudetto. Sarà colpa nostra non vedere oggi qualcosa sopra lo zero ad ogni livello societario, ma, perlomeno, nella disperazione, hanno scelto chi poteva aiutarli. Non sappiamo se Peterson resisterà, se troverà energie da ciclista sul Tourmalet, ma per almeno un mese sarà il sole. Poi, magari, con quel sole accenderanno il falò per bruciargli le ciglia e le palle. Volete sapere chi è Teresa. Andate a rivedere il film Erin Brockovich. Era l’avvocatessa saputella che voleva battersi con Julia Roberts finendo con le scarpe fra le boasse delle mucche.

In questo giro fra Irlanda e Brescia sosta premio sotto un gazebo leghista per farci spiegare la domenica tempestosa di Roma: due sconfitte nel calcio, fuori dalla coppa Italia nella pallavolo, disastro nel basket con esclusione dalla festa di Torino visto che domenica dovrà affrontare Siena. Sul calcio sapete tutto: quello è inferno radiofonico e si cade se non si hanno sostegni solidi e Totti non lo è più, così come Reja potrebbe non esserlo più. Nella pallavolo sappiamo che hanno le stesse debolezze del basket: il povero Andrea Giani, un super uomo, brinda soltanto all’ingaggio nella squadra azzurra di Berruto. Ma forse rispetto al basket hanno meno soldi.

Eh sì, Roma caput malamundi, la peggiore squadra della Lega, con fancazzisti che non tornano mai in difesa, che si fanno prendere per i fondelli da arbitracci antisorriso, con l’allenatore ubriacato dalle finte dei “veri uomini” che ogni tanto pensa di trovare nel fienile, inciucchito al punto da non fare in tempo a spiegare al nuovo acquisto Gordic, uno che almeno la palla la fa girare anche senza lampi d’artista, che gli assist per Crosariol possono funzionare soltanto se il pindolone scontroso ha i piedi inchiodati sotto il canestro e non trova nessuno che ostacola il goffo caricamento per una goffa schiacciata. Sono sforzi inutili e, come sanno tutti, quando non tiene un palla facile lo vedrete girare il collo alla ricerca di chi gli fa capire che la colpa, poveretto, non può essere sua: ma come, un pallone sparato nelle mani da cinque metri, accidenti è difficile da tenere. Roma e Washington da mettere sul primo aereo. Roma e i virgulti slavi da trattare come si deve, male se fanno i cazzoni e girano con una bandana in attesa dello sponsor.

Pagelle intuitive bevendo Cartizze sotto la la scultura di Conti che ci ricorda la storia di Castore mentre il pittore Giovanni Lombardini, che espone con lui, sceglie colori forti per le sue rime.
10 A Denis MARCONATO
che mantiene alta la bandiera dei medagliati azzurri, degli ex che non si fanno dimenticare, pazienza se poi hanno delle menopause.  
9 A Romeo SACCHETTI che tira fuori meraviglie da Sassari portandola forse anche verso una salvezza che sembra comunque difficile. A Siena non si è piegato e ha retto bene fino allo tsunami Stonerook.  
8 A Frank VITUCCI e, ovviamente, al paron ZORZI, perché Avellino ci mostra l’altra faccia della luna professionistica, un po’ come Rieti o Reggio Calabria ai tempi di Lardo, quella dove si gioca per amore, solo per amore, riservandosi il lodo. Aveva un sassolone nella scarpa con Daniel Hackett che brindò al suo esonero quando Treviso prese Repesa. Ha fatto bene a non forzare ma a dire la verità, ha fatto bene a non far notare che i suoi lupi sono meglio delle pecore tosate per i colori Benetton.  
7 Alla NAPOLI femminile che batte Taranto e che ci fa pensare che forse no
n tutto è accastatato fra l’immondizia in una città dove imbarcarsi nelle vicende sportive porta spesso al fallimento, calcio a parte. Per ora.  
6 A Dino MENEGHIN che ha voluto esserci alla prima per il rientro di Peterson sintetizzando bene quello che molti non vogliono capire: “Era come andare ad un prima della Scala diretta da Muti, da Abbado, dai grandi”. Già, care Terese.  
5 A Tiziano ZANCANELLA, encomiabile quando chiede che si torni a sorridere, che ci sia più serenità e rispetto fra arbitri e gente del campo, ma poi deve spiegarci bene come si può sorridere dopo un arbitraggio come quello delle due Virtus a Bologna, come si può restare impassibili davanti ai Radetzki che sparano tecnici ed intenzionali con il sadismo dei forti sui deboli, con la balbuzie dei deboli con i forti.  
4 Agli ARBITRI ERODE che castigano sempre i giovani a danno dei veterani, che bastonano gli esordienti, meglio se stranieri, facendo diventare macchiette i giocatori italiani privilegiati che poi a livello internazionale non hanno gli stessi privilegi e diventano due di briscola. Se Poeta è quello che a Teramo e Bologna assalta ogni fortino con successo perché mai in Nazionale non gli danno neppure cinque minuti? Colpa di Pianigiani?  
3 Al nobile TOTI, occhi di brace, presidente della VIRTUS ROMA, per aver scoperto, ancora una volta, che farsi ridere in faccia da Winston, farsi raccontare le storie “vere” da Sabatini non può guarire il grande male della sua squadra: va ripulita nel sottoscala, va liberata da chi la rende comunque triste ed abbordabile anche se ha 20 punti di vantaggio. Isolatela e colpite il portafoglio.  
2 Al Carlo RECALCATI che scopre giorno dopo giorno di non avere più il rispetto degli arbitri e degli avversari. Si è risentito con Pillastrini per la mattanza, ma forse è il momento di prendersela un po’ anche con se stesso e, soprattutto, con la squadra.  
1 A Dan PETERSON se non riuscirà a dosare le forze, se pretenderà di fare ancora tutto adesso che si è tolto lo sfizio di veder andare a Canossa chi pensava di rifondare l’Olimpia seguendo il portolano di chi aveva conosciuto soltanto il mar Morto.  
0 Al folletto Marques GREEN, bravissimo nella vittoria avellinese di Pesaro se, come il ridanciano Winston, non ammette che davanti a prestazioni come quelle dell’ultima partita nessuno li avrebbe cacciati da Istanbul, da Pesaro o da Roma. Sarebbe ora che facessero autocritica in tanti, dai giovani talenti che sparano alla luna, agli allenatori che si rifiutano di considerare più importante la testa della lavagna e se i giocatori non sanno dove andare, be’, vuol dire che non sanno neppure leggere.

Oscar Eleni

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