Letture rivoluzionarie

26 Luglio 2010 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Il disco di Coldebella, la lezione di Peterson, i pantaloni di Armani, l’euro di Sacrati, i collaboratori di Meneghin, la nazionale delle statistiche e i fondamentali dei veterani.

Oscar Eleni dal bosco degli alberi parlanti che si trova di fronte alla casa di Paco Taibo secondo, messicano asturiano, schiacciata fra due statue di Pancho Villa, ma potrebbe anche essere davanti alla nuova casa sul Sile di Claudio Coldebella che a Treviso ascolta, ogni giorno, il disco che ha rovinato l’estate di Claudio Pea impegnato a convincere la Juventus che si può anche cambiare tutto, ma non la natura predona di chi è nato per vincere o per farsi comunque invidare. La Benetton vuol tornare a vincere ma non ha bisogno di ripetere la cantilena ogni giorno. Lo faccia e poi se ne parlerà, la stessa cosa che vorremmo ricordare a Pianigiani e alla Nazionale adesso che il campo ha chiarito quasi tutto.
I buoni allenatori li vedi quando lavorano, se si chiudono in palestra e hanno paura a farsi giudicare allora i giocatori capiranno. Non è il caso del Simone nostro, che addirittura fa una cosa rivoluzionaria portando in palestra Dan Peterson per vederlo lavorare sulla famosa zona uno tre uno che fu l’arma tattica dell’esaltazione per la prima banda Bassotti milanese e poi ancora nell’età dell’oro. Pianigiani il perfido che chiama il nano ghiacciato a Roma, cosa che non hanno fatto e non faranno mai a Milano.
Dove, abbiamo scoperto, la mitica Olimpia viene considerata alla stregua di un pantalone sdrucito da vendere: cari abbonati, dice il genio uscito dalla lampada di re Giorgio, se non vi piace la squadra, l’allenatore che supportiamo in ogni maniera, anche con lettere speciali, allora statevene a casa. Tutto vero, ma le società sportive non sono sul bancone della vendita. Sono chiese dove in tanti, quando ne hanno voglia, vanno a pregare. Non è vero che se non ti piace l’Armani puoi andare da Dolce e Gabbana, non è giusto far sapere che l’abbonato piace soltanto se acconsente. Non riusciamo a trovare niente di carino da dire a questi tipi spiaggiati dall’onda anomala sull’isola dello sport, così diversa da quella degli affari, del mondo come lo vorrebbero quelli sdraiati per le ore felici da passare nel locale dove, se hai proprio culo, ti capita di vedere arrivare Balotelli in Ferrari e, se resisti a tutto puoi anche vedere nascere il titolo roseo sui pasticcini e le balordaggini di un sistema che non tiene conto di cosa voglia dire fare sacrifici. Gente che allarga tutto, dalla borsa alle case.
Per chi disprezza l’abbonato che mugugna noi, da questo sito, possiamo offrire soltanto due letture interessanti e rivoluzionarie: la prima è il ritorno di Ivan Ilic dell’argentino Rolo Diez. Un libro usato, come piacerebbe a chi ama davvero leggere, trovato su una bancarella dal Lorenzo Decollato nella notte in cui Sacrati non ha lasciato libera la Fortitudo per un euro come aveva promesso, anche se tutti hanno in mano il libretto delle promesse mai mantenute dal tipo in questione e anche da tanti altri. Il secondo tesoretto da vacanza infelice racconta la storia dell’uomo audace. Uno che non troverete certo a Milano, sicuramente non a Trieste dove hanno inventato la garrota dell’invidioso sconvolti all’idea che la protezione Tanjevic salverà Boniciolli dalle ustioni e dalle salamandre romane. Uno che difficilmente scoprirete in molte società italiane che ora si stanno convincendo di poter attaccare Siena perché devono rifare un quintetto intero. Insomma questo uomo audace, un hombre guapo, si chiama Tony Guiteras padre della rivoluzione cubana del 1933 che si accendeva le sigarette con il mozzicone di quella appena finita.
Attaccano in branco i lupi dell’estate cestistica dove se non fai attenzione scivoli anche su gelati alla crema gustosi serviti da amici credenti che nella denuncia, magari, ti mandano in confusione. E’ capitato con questa storia dei programmi tecnici messi in circolazione senza ascoltare neppure il commissario tecnico della Nazionale, scritti a bella posta quasi per andare contro quello che aveva codificato il periodo in cui era Ettore Messina il faro da seguire. Ci sono stati equivoci, abbiamo tirato in ballo Dino Meneghin ben sapendo che un presidente federale deve assolutamente fidarsi dei collaboratori che ha scelto. Convinti che i responsabili, gli stessi che con sollecitudine da scusa non richiesta, che sa tanto di colpa manifesta, sono andati subito a spiegare che mai avrebbero avallato un programma tecnico dove contropiede e uno contro uno dinamico venivano messi dietro agli occhiali da sole di chi pensa di farla comunque franca. Meneghin ha problemi enormi da risolvere, adesso che tutti hanno capito che abbiamo una nazionale da seconda fascia europea, bassa di statura, non tanto ricca di talento, ora che si è reso conto di essere in una palude dove per trovare l’airone simpatico che ti sorride devi fare chilometri e chilometri. Non era certo con lui che potevamo avercela per la storia tecnica, casomai pensavamo più ad un Gebbia, magari allo stesso Zappi che ha rassicurato il presidente. Benissimo. Se tutto è chiaro allora pretendiamo un dibattito aperto e pubblico. Dove? Esiste solo SB per certe cose, o magari i Giganti, ma è difficile che si ottenga udienza da chi finge soltanto di ascoltarti.
Tornando a Pianigiani, che ha meno tempo di Meneghin per chiarire questa brutta faccenda misurata sui ratti da laboratorio, vi diciamo subito che ci ha convinto di più dopo tre sconfitte che dopo tre vittorie. Un allenatore ha vita quasi sempre facile se deve parlare dopo una, dieci, cento vittorie, ma per capire il personaggio basta vedere come reagisce alle sconfitte, cosa dice e, soprattutto, cosa riesce a fare. In questo devi essere bravo sul serio ed è questa la differenza che non capiranno mai quelli arrivati da lune diverse, magari lune bellissime, ma diverse. Pianigiani e i suoi fantini in azzurro, gente che a fruste alzate soffre tutto quello che c’è intorno. La Croazia, seppure incompleta, ci ha detto verità dolorose, speriamo che Israele e Montenegro non abbiano anche loro la polvere per le ali delle nostre Campanellino da qualificazione europea, gente che è super pagata, ma che non è certo supervalutabile al mercato dove devi fare delle cose, prendere un rimbalzo, difendere duro, tirare per colpire non per masturbarsi poi con le statistiche che piacciono ai loro agentucoli. Hanno lavorato duro, questo è vero, si sono presi in faccia quello che meritavano, anche questo è vero, ma restano giocatori incompleti e, spesso, incompiuti, insomma sponde, cambi, non veri protagonisti e questo lo diremo anche se andasse bene la cavalcata europea che stranamente comincia lunedì 2 agosto a Bari (perché lunedì?), se tutto si risolvesse nelle trappole di una zona uno tre uno.
Le belle gioie ti fanno svegliare all’alba, ma poi loro vanno avanti a dormire e anche il gallo che ora sente aria di griglia si domanderà se New York valeva tanti sacrifici azzurri, unico territorio dove poteva essere davvero principe regnante. Insomma siamo fermi alle medaglie che vinciamo soltanto con le squadre di veterani affidate all’Alberto Bucci che non riesce davvero a cambiare stile: azzanna con furore anche chi gli sta dando più di quello che puoi avere in saccoccia. Teniamola cara questa follia del Natucci veronese, per ora sono loro a dare oro alla patria e la Federazione potr
ebbe anche dare qualcosa di più dei rimborsi spese, ma questi sono argomenti delicati e non vogliamo mettere altra legna sul fuoco, la carne viene dopo e chissà se saranno frattaglie o filetti. L’unica cosa che ci ha fatto stare male è sentire il medico delle anime, quello che per il basket rinuncia a tutto, pasionario come se ne trovano pochi, il caro Max che preso dalle retine vorrebbe mettercene una anche nel mare grasso esploso dopo tanti sforzi per nascondere stitichezza di sentimenti, elogiare questi veterani con una frase che suona come monito ai Gebbia del lago, ai Zappi del piadinismo tecnico: ”Le due nazionali che hanno vinto i titoli europei a Zagabria avevano una cosa che manca oggi, avevano i fondamentali. Forse quei giocatori sono gli ultimi prodotti veri di una scuola tecnica e se non si partirà da questa base non torneremo mai più ad alto livello”. Credo più a questo che alla retina da mettere in pancia, credo davvero che Bucci sia un tipo a cui non hanno ancora strappato il dente viperino per cercare la vittoria, un tipo che ha energia da vendere, basta che non se la prenda soltanto con questo bayon dove i promossi sul campo sono fantasmi che ai suoi tempi, quando il dottor Stranamore sfidava i Peterson, i Bianchini, raccoglievano i palloni alla fine dell’allenamento e poi andavano a fare le imitazioni in pizzeria.
Oscar Eleni

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