Le due vite di Bjoerndalen

11 Febbraio 2014 di Simone Basso

Sabato scorso, la vernice delle Olimpiadi sul Mar Nero, Ole Einar Bjoerndalen se la stava giocando, all’ultimo intermedio, per l’oro nella Sprint. Sull’ultimo strappo, in difficoltà, ci ricordava i quarant’anni appena compiuti (il 27 Gennaio scorso). Eppure è bastato un attimo, alla ricerca delle energie rimaste, perchè il Campionissimo norvegese ritrovasse lo spunto e una vittoria clamorosa. Che ha sbizzarrito gli uomini delle statistiche, lapalissiani, nel conteggiare un palmarès che ha ucciso qualsiasi confronto diretto: sette trionfi olimpici, dodici medaglie complessive, sono un pattern mostruoso, impraticabile per chiunque. Per non raccontare i 29 podi iridati e i 179 (!) nella Coppa del Mondo…

Eppure rievocare la primissima Sprint vinta sotto i Cinque Cerchi, si era a Nagano nel 1998 (…), può materializzare meglio l’unicità dell’atleta. Sedici anni significano almeno due ere geologiche differenti, quasi agli antipodi, nello sviluppo tecnico e agonistico del biathlon; Ole Einar è come se le avesse cavalcate, esponente di quella generazione d’oro che ha edificato la grandezza della disciplina. Una specialità che proprio a Sochi, malgrado i Cologna, i Northug, le Bjoergen, evidenzia il sorpasso storico al caro vecchio sci di fondo. Bavetta (sic), i rivali acerrimi, il grande Raphael Poirée e lo ieratico Sven Fischer, sono stati il Cavallo di Troia che hanno permesso all’Ibu il putsch…

La leggenda di Bjoerndalen, ormai parallela al quasi omonimo fuoriclasse degli sci stretti che furono (Bjorn Daehlie), ha soprattutto a che fare con il rifiuto, testardo, illogico, delle leggi del tempo. In un pianeta a sé, come il corri e spara di oggi, che esprime fenomeni di livello assoluto (Martin Fourcade ed Emil Hegle Svendsen bastano?), l’uomo nato a Drammen è parso – soprattutto un paio di anni fa… – ben oltre il crepuscolo della carriera. Per farla breve, bastonato dai giovani, l’avevamo messo sul carrello dei bolliti. Quindi la Sprint di Krasnaja Poljana, la competizione col poligono facile (…) che richiede più gambe e polmoni, è stata la gara perfetta per illustrare l’eccezionalità del soggetto. Con l’erede Svendsen solamente nono, il connazionale sopportato pochissimo, e un’accoglienza sul podio, per la cerimonia dei fiori, emblematica. Al suo annuncio lo stadio russo è esploso in un boato: perchè il suo nome ormai è inscindibile dal biathlon, una sorta di sinonimo felice di questo sport.

E dire che per un quarto d’ora, più di un decennio fa, aveva sognato l’approdo definitivo al nordico: c’era anche lui, concluse quinto, nella Trenta in linea a Salt Lake City 2002. La corsa stritolata, umiliata, da un Muehlegg imbottito di Aranesp e ormoni fino alla punta dei capelli… Eppure Bjoerndalen fu il primo a vincere in Coppa, oltre che con la carabina in spalla, nel fondo: accadde nella Quindici a tecnica libera, nel Novembre 2006, in quel di Gallivare. Il motore è straordinario e anche in estate, sull’amata bici da corsa, non sono mancate le occasioni per dimostrarlo: più di una volta ha percorso L’Alpe d’Huez, senza allenamenti specifici, con VAM quasi da professionista. Il resto è impossibile da sintetizzare: un’applicazione quotidiana, ossessiva, stacanovista, che non ha eguali. Il biathlon, i particolari al poligono, la voglia di faticare, hanno quasi il significato di una missione. Ci piacerebbe tanto vederlo, nella sua prossima vita, impegnato a trasmettere quel quid a un talento futuribile: chissà che riesca, proprio lui, a trovare qualcuno che possa approcciare numeri e primati che, nell’anno di grazia 2014, paiono inavvicinabili.

(per gentile concessione dell’autore, fonte: Il Giornale del Popolo di martedì 11 febbraio 2014)

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