La strana crisi italiana

1 Aprile 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni 
Il capolavoro di Siena, il manager Messina, la pensione di Buzzavo, lo stipendio di Pianigiani e l’apoteosi di Hairston.

Oscar Eleni dal cratere di una crisi battuta con furore. Staranno male quelli che non hanno mai capito la battuta di James Cagney per i Ruggenti anni Venti: ”Se vuoi il ponte di Brooklyn, non hai che da chiedermelo: se non me lo vendono, lo rubo”. Siamo in pieno capolavoro dentro le mura: quelle di Siena, quelle di Treviso. Era l’incipit di una ribattuta che il marrano correttore ha mangiato. Capolavoro. Un altro per il Montepaschi. Pazienza. Tanto dicono che spesso non si capisce quello che scriviamo. Verità alla Tony Curtis che quando deve rispondere alla Marylin sulla sua stupenda arte nel bacio si rifugia nell’ironia: ”Ho imparato vendendo baci e articoli al soccorso invernale”. Ecco anche noi del vecio basket abbiamo imparato a vendere pillole al soccorso invernale di un basket che non è poi così a pezzi se non ha mai pensato di risposarsi con le notti dell’infelicità, almeno mai di giorno.
Scavolini, il grande Valter che ancora corre per chilometri nel suo splendido parco, si chiedeva 10 giorni fa quanto poteva servire in un bilancio se la migliore degli ultimi 4 anni aveva preso 48 punti di scarto al Pireo. La risposta è arrivata dalla stessa Siena. Dal Minucci che ripete da tempo che non è solo questione di budget, come l’Ettorre Messina che i sicofanti vedono addirittura come manager Armani, all’americana, nel castello dove Livio Proli ha sempre amato controllare tutto, anche se qualcosa e qualcuno gli è sfuggito, anche se l’amato Bucchi ha speronato il silente Pascucci diventato maestro di chiavi anche per interviste banali. Verissimo e se guardate la stagione di Siena capirete che il tutto nasce da una fonte che non regala miracoli, ma acqua benedetta per arrivare dove gli altri falliscono.
Succede anche a Treviso perché una finale europea per la Benetton, una coppa per la Sisley pallavolo, dicono chiaro ai Benetton che la loro voglia di andarsene dallo sport professionistico, rugby a parte, non nasce dai cattivi risultati, perché l’impegno c’è e i giovani talenti anche, mancava un anello per legare la nuova generazione alla vecchia ed è lì che si è rotta la catena. Non dovevano mai permettere a Buzzavo di andare in pensione e adesso sarebbe tutto a posto anche se il brontolone aveva smesso di frequentare il mondo basket perché si sentiva circondato dall’ipocrisia lui che potrebbe scrivere un trattato sul trevisismo, lui che ha sofferto tanto per il fornaretto Cirelli mandato al rogo mentre altri raccontavano bubbole e ancora oggi vanno in giro a vantarsi.
Ma torniamo al capolavoro di Pianigiani che insiste davvero a voler entrare nel mondo che ci ha sempre esaltato, quello degli uomini nati per essere amati perché regalavano loro stessi alla causa, un mondo da Arsenico e vecchi merletti dove quando ti chiedevano se potevi amare di un allenatore, o di un giocatore, anche il suo cervello, rispondevi sempre che era meglio fare una cosa per volta. Lo ameremo, il piccolo principe, alla fine della corsa. Adesso vada avanti cercando motivazioni forti dove sente di non essere considerato abbastanza. Gli serve come benzina in una città che sa benissimo cosa sia l’odio di parte. In un mondo sportivo che da un po’ di tempo ha deciso di pagargli lo stipendio in Nazionale perché fioccano le multe dopo insulti al “noto tesserato”.
Vederlo risorgere dal meno 20 di Azzurra nella kermesse al Forum, vederlo uscire indenne dal crollo della casa senese, quella antica che serve per pubblicizzare la scritta ricordo di una banca storica, dopo il meno 48 del Pireo, ci ha obbligato a rivedere tutto sul ragazzo della Lupa, senza farci influenzare dal Pea pensiero che per rispondere ai baggiani invidiosi lo considera un genio. La genialità è capire come si fa funzionare una squadra dando a tutti una responsabilità. E’ il gruppo che vince, che trova le persone giuste da mandare in campo, da tenere intorno al campo. Il caso di Malik Hairston e, forse, dello stesso Jaric, ci dicono che in piazza del Campo non ci nasce soltanto la Verbena. Lo capite vedendo gli ex senesi in giro per altre contrade. Su Hairston il capitano e priore Ferdinando istrice di Chiusino ha giocato la carta più difficile: era un bell’acquisto, ma arrivò con la schiena a pezzi. Poteva rompere il contratto, mandarlo al diavolo e cercare altrove. Niente. Prima il recupero del nottambulo Moss, poi il discorso guardando negli occhi il ventiquattrenne di Detroit che era passato nel giardino della NBA. Caro Malik noi ti cureremo, tu firmi un contratto diverso, si rivedono certe clausole, ma se alla fine vinceremo insieme allora avrai la certezza di trovare il tuo tesoro dove era prima. La schiena e poi l’ernia, il ritorno alla vita agonistica poco a poco, fino a gara due sul campo del Pireo, con l’apoteosi di gara quattro al PalaEstra. Cari avversari di Siena o capite cose come questa o dovrete passare altre estati domandandovi perché l’erba di Minucci sembri sempre più verde, colore base per il tricolore perché il bianco è quasi sempre il colore sulla faccia dei disperati inseguitori, e il rosso quello sulla faccia degli invidiosi costretti a raccontarsi delle favole. L’Italia in crisi ha una finalista fra le grandi. E’ l’ottava volta. Per Siena la quarta. Vi sembra un caso?
Oscar Eleni

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