La sintesi di Fernando Di Leo

7 Settembre 2011 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
La scoperta del bellissimo sito Squadra Volante Ligera su segnalazione dell’amico Stefano Micolitti, ben noto su Indiscreto in quanto spacciatore di storie sulla pallacanestro anni Settanta, è avvenuta quasi in contemporanea con la millesima visione di Milano Calibro 9. Film fra l’altro ben citato all’interno di questo romantico progetto. Un cult per chi ama i poliziotteschi di quegli anni, di una violenza inimmaginabile anche oggi: seguendo gli schemi mentali degli editorialisti 2011, che danno a Facebook la colpa anche del buco nell’ozono, sarebbe dovuta crescere una generazione di criminali. E invece no, siamo solo sfigati che da precari pagheranno le pensioni a chi c’è andato a 40 anni (il famoso patto fra generazioni) da ipergarantito. Tornando a Milano Calibro 9, il film pur essendo privo del divo assoluto del genere (l’immortale, pur avendoci lasciato anzitempo, Maurizio Merli) è la summa ideologica dei poliziotteschi.
Overdose di scene di guida in auto, scorrettezza politica assoluta (delinquenti tutti meridionali, poliziotti conservatori campani e poliziotti progressisti settentrionali, donne a voler essere generosi considerate meno di oggetti e spesso picchiate senza problemi), soprattutto morte finale di quasi tutti i protagonisti. Menzione d’onore per un Gastone Moschin veramente d’annata (non aveva ancora interpretato il Melandri), una Barbara Bouchet di grande classe e un Philippe Leory non ancora noto a noi popolo bue, con la gondola e la torre di Pisa sopra al televisore, come Yanez. Per la trama del film rimandiamo a Wikipedia, evitando di copiarla. Di nostro alcune considerazioni, in giorni in cui si assiste a Venezia al festival della spocchiosità.
1) Il cinema di genere, nelle sue espressioni migliori, era basato su storie solidissime. Non a caso Milano Calibro 9 era tratto da un racconto di Scerbanenco.
2) Quei film dovevano guadagnarsi un pubblico, non vivevano di sovvenzioni pubbliche ma nemmeno della passività da divano.
3) Nel 1972 esisteva sì, ma in forma tollerabile, il doppio girone: quello degli autori geniali e quello dei mestieranti che devono far quadrare i conti. I cosiddetti ‘grandi professionisti’ (Pippo Baudo è sempre un gran professionista) erano anche a loro modo geniali. Fernando Di Leo, il regista, in carriera passò da sceneggiatore di spaghetti western ad autore maledetto (Avere Vent’anni non è esattamente Don Matteo 6) ma soprattutto ruppe una serie di tabù. Primo fra tutti quello del dipendente dello stato (in particolare il poliziotto) che non deve essere rappresentato come corrotto, al massimo può essere risultare come tale all’interno di un contesto sano.
4)  La rivalutazione da parte di Quentin Tarantino è una tassa da pagare per molti film commerciali di quegli anni, ma questo non toglie che alcune di quelle opere avessero una forza tale da far loro superare i decenni. Siccome la moralità, ma anche il moralismo che ne è la degenerazione, ha parametri diversi a seconda delle epoche, è ovvio che a durare più a lungo siano di solito i film amorali. 
5) Impressionante come nel 1972 Milano fosse in sostanza uguale a quella di oggi. Non fosse stato per le auto…O erano avantissimo all’epoca (si sa che una volta era tutto meglio) oppure sono quattro decenni che in sostanza si costruisce nulla se non quartieri satellite per una borghesia che non esiste più finanziati da banche che fra poco non esisteranno più.


Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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