La Pasqua di Nadal

18 Marzo 2013 di Stefano Olivari

Rafa Nadal è risorto, a certificarlo non solo la vittoria nel primo Masters 1000 della stagione a Indian Wells di fronte a un iper-abbronzato Larry Ellison (il boss di Oracle è anche proprietario del torneo), ormai quasi un clone di Bruce Willis, e Bill Gates, ma un’esultanza che in chi a 26 anni ha vinto 11 tornei dello Slam (di cui 7 Roland  Garros) è sembrata l’esplosione di gioia di chi per la prima volta nella sua vita ha avuto paura di non essere più al proprio massimo. La terra amica di Vina del Mar (finale persa da Zeballos), San Paolo e Acapulco (vinti, il secondo asfaltando in finale Ferrer), non vale ai suoi occhi come quel cemento a cui imputa buona parte dei suoi problemi alle ginocchia. Certo è che in California ha avuto un tabellone più facile di Del Potro, trovandosi nei quarti un Federer ai minimi termini (peraltro ai suoi tempi ha battuto anche quello ai massimi) e in semifinale uno degli sparacchioni di lusso che possono battere i quattro grandi, il suo antipatizzante Berdych, che però era in giornata no. Il Nadal extralusso si è visto soprattutto in finale, con una partenza sparata e la resistenza eroica a un Del Potro che dalla sua mattonella sparava diritti più violenti anche di quelli di Djokovic, da lui superato in semifinale dopo avere buttato fuori Murray nei quarti. Dopo un set e mezzo, quando Del Potro è inevitabilmente calato, Nadal ha conquistato break (va detto che anche nei momenti più difficili era riuscito a rispondere) e portato l’argentino all’interno dei suoi schemi pur essendo a tre quarti del vero Nadal. Ogni settimana vengono in mente considerazioni definitive (quante volte Federer è stato in declino, da cinque anni a questa parte?), destinate ad essere subito smentite, ma non si rischia molto affermando che un Del Potro sano può tranquillamente infilarsi nel posto lasciato libero dal lungo addio di Federer. Che vuole arrivare in qualche modo a Rio, quando avrà 35 anni, e per questo non si fa scrupoli di saltare il torneo a cui forse l’Atp tiene di più, cioé quello di Miami (Key Biscayne, anche se nel mondo si vende ovviamente meglio il nome Miami). Stessa scelta per Nadal, in una curiosa vita parallela con cinque anni di età di differenza che li fa considerare entrambi di un’altra generazione rispetto a Djokovic e Murray, che hanno solo un anno meno di Nadal, di Del Potro che ne ha due di meno o di Tsonga che è addirittura più anziano. Banalità vuole che solo l’assenza faccia capire l’importanza delle persone. E Nadal, quello fra i grandi che pensa di più (anche perché costretto a pensare), ci era mancato.

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