La nostra Neverland

26 Giugno 2009 di Stefano Olivari

Non c’è nessuna vergogna nell’affermare che la morte di Michael Jackson ci abbia colpito più di quella di un parente o di un amico, nonostante i 41 anni (nostri) ed i sogni ormai nel cassetto (ma senza Fabrizia Carminati): fin quasi all’alba siamo passati da un canale all’altro, sperando che il LA Times avesse commesso un errore e celebrando una nostra messa silenziosa. Senza entrare in discorsi musicali, visto che detestiamo il periodo Motown così caro invece ai sui sedicenti ‘veri’ fan, Jacko è un buon esempio dell’eroe anche sportivo in cui un ragazzino si vorrebbe identificare. Bravissimo nel suo campo, con il mito dell’infanzia rubata, mai arrogante, senza una ‘sua’ vera famiglia (parenti-serpenti, pseudomatrimoni e figli nati chissà come non ci hanno ovviamente mai dato motivo per essere gelosi) perchè la sua famiglia eravamo noi, distante da qualsiasi problema pratico, assediato da ricattatori e furbi, fragile, dall’immagine asessuata come è quella del campione sportivo per il bambino che ripete i suoi movimenti davanti allo specchio. E soprattutto morto giovane, per la gioia dei colonnelli Parker che potranno costruire l’industria del mito senza più essere disturbati dal presente. E per il dolore di noi asserragliati nella nostra Neverland, fatta di cose inutili che scaldano il cuore.

stefano@indiscreto.it
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