La loro Africa

8 Gennaio 2008 di Stefano Olivari

1. Inutile ricordare dove eravamo rimasti prima della pausa natalizia: della serie A propriamente detta si parlerà fra una settimana, cercando di mozzarci una mano se ci uscirà dalle dita il solito pezzo sull’assurdità di togliere agli italiani il loro gioco preferito proprio nel periodo in cui avrebbero più tempo per seguirlo, insieme alle mitiche famiglie, o sullo scontato parallelo con la Nba tanto cara ai dirigenti dei nostri grandi club che il giorno di Natale a mezzogiorno butta in campo in diretta nazionale la squadra più amata-odiata, i Lakers, contro quella più spettacolare dal punto di vista dello spettatore medio, i Suns, trascurando i discorsi su Premier League, Liga spagnola, eccetera, che suonano un po’ da piazzisti di Sky ma non per questo sarebbero strampalati. Nel quarantennale di Campana, in passato protagonista di battaglie di libertà (su tutte quella per la firma contestuale, grazie alla quale i calciatori finirono di essere trattati come oggetti) ma adesso solo timoroso di perdere il sostegno dei giocatori-immagine (perché, forse non tutti lo sanno, l’unica vera entrata dell’Associazione Calciatori è quella relativa ai diritti di immagine collettivi: in sostanza i milioni che paga la Panini per figurine ed altri prodotti) piuttosto che degli ‘stipendiati quando capita’ delle serie inferiori, niente di nuovo: può essere utile comunque ricordare che con le elemosine (in parte saltate, visto com’è andata la finale della prestigiosa Dubai Cup) degli sceicchi i campioni del mondo e d’Italia si pagano al massimo il lordo dei preparatori atletici, per non parlare del vitto e alloggio arraffati da altri ad albergacci da convention aziendale. Gocce nel mare degli sprechi, in attesa del taumaturgico miliardo all’anno vagheggiato da Matarrese per il 2010.

2. Non sarebbero invece sprecati i soldi per Didier Drogba (foto), con o senza il pacchetto Mourinho. Sarebbe uno dei pochi al mondo in grado di entrare subito nei primi undici del Milan, al di là del fatto che già da mesi frequenti parte del suo spogliatoio (oltre che quello di una nota squadra femminile di pallavolo) nella domenica sera milanese. Per adesso l’ivoriano, convalescente dopo l’operazione al ginocchio e convocato da Uli Stielike nei 23, è solo l’ennesimo pretesto per una polemica fra gli ormai ex G14 (dei quali comunque il Chelsea non ha mai fatto parte) e le federazioni, con il pendolo della ragione che una volta tanto pende dalla parte dei club. Che giocano sì un calcio strutturalmente più finto di quello dei campionati nazionali o continentali (si può comprare tutto tranne il senso di appartenenza: Camoranesi, Deco, Olisadebe e qualche onesto ballerino di terza fila contro millenni di storia, magari atroce e violenta però storia), ma che nel quotidiano permettono a tutto il carrozzone di andare avanti. E che continuano a non capire il senso di disputare una competizione per squadre nazionali africane dal 20 gennaio al 10 febbraio (quest’anno in Ghana), visto che non stiamo parlando di una scansione australiana delle stagioni né di nazionali con pochi ‘stranieri’. Tanto per rimanere alla Costa d’Avorio, dei 23 scelti dall’ex libero di Germania Ovest e Real Madrid, in queste ore alle prese con una situazione familiare drammatica che lo ha portato alle dimissioni (forse temporanee), solo Tiasse Kone (Africa Sports) gioca in patria. Insomma, il perseverare con questa data piuttosto che giocare a giugno-luglio, sembra da parte della CAF solo una stupida esibizione di muscoli. Con la differenza, rispetto al passato, di un Blatter che ha grossi progetti a livello di club al di là dello scontato coinvolgimento, fra un paio d’anni, di una seconda europea e di una seconda sudamericana nel Mondiale di categoria. Quasi ininfluenti sulla vita dei paesi europei paganti le competizioni per nazionali asiatiche e nordamericane, in qualche modo normalizzate quelle sudamericane con convocazioni semiconcordate, messo in un cassetto il Mondiale biennale e pompati quelli giovanili in ottica voto di scambio (quando non bastano i quattro soldi del Goal Projetct, fondamentali per il potere dei satrapi di provincia), la questione africana è l’unica ancora da risolvere: di certo non si toccherà niente prima del 2010, per non turbare un Mondiale ad altissimo rischio (lunga vita a Mandela, ritiratosi nella forma ma non nello spirito). E pensare che alla prima edizione, nel 1957 (la versione europea sarebbe nata solo tre anni più tardi, mentre la prima Copa America risale al 1916), parteciparono solo Egitto, Etiopia e Sudan…

3. Le festività natalizie hanno riempito i giornali di interviste interessanti a dirigenti e manovratori in genere, fra massimi sistemi e faide di corridoio. Per quanto riguarda il pallone, la lettura nemmeno troppo fra le righe ha rivelato che quello del 2010 non è un termine importante solo per i contratti televisivi (al di là del fatto che il ricorso di un Napoli qualunque potrebbe far saltare una legge chiaramente anticostituzionale, a meno che non siano saliti al potere i khmer rossi), ma anche per la ristrutturazione dei campionati. Il fatto che Macalli parli dell’opportunità di cambiare nome alla serie C per dare un’identità emotiva ad un prodotto tecnicamente da basso livello (fra i presidenti ha preso l’idea di ‘Campionato Nazionale’, suona bene) significa che la Lega di sopra ha deciso di alzare il ponte levatoio, liberandosi di una decina di pesi morti per arrivare al numero perfetto di 32. Che nelle ultime assemblee è stato tirato fuori timidamente, magari sperando che qualche fallimento senza ripescaggio faccia il lavoro sporco. Una A e una B a 16 squadre darebbero più qualità e magari aprirebbero spiragli per il discorso playoff. Massimi sistemi, ma neppure troppo. Venendo alla realtà dei prossimi due anni di transizione, da Matarrese in giù si aspetta solo il momento propizio per annunciare l’ennesimo frazionamento. Più dell’improbabilissimo Monday Night della serie A (fra impegni Champions e Uefa, al lunedì si vedrebbero quasi solo partite da zona salvezza nemmeno nobilitate dagli stadi pieni della Premier League), buono per riempirsi la bocca, piace la partita domenicale di mezzogiorno o delle 18: una cosa di cui non si sentiva il bisogno ma che Sky ritiene utile in una logica di coinvolgimento non stop del bulimico. Alla fine il dibattito sui servizi in chiaro che non si vedranno prima delle 22 e 30 sarà utile solo a quelli come noi, specialisti del ‘com’era bello una volta Novantesimo Minuto’.

4. Parlavamo prima dell’Associazione Calciatori, su cui è facile ironizzare ma che in realtà quasi sempre è costretta ad una realpolitik che raramente viene percepita dal grande pubblico. Quanto sta accadendo al Martina è realtà quotidiana in una categoria, la C, che ha bilanci ufficiali proporzionalmente più sani delle serie superiori ma dove i pagamenti effettivi dei calciatori sono spesso un optional. Ma cosa sta succedendo al Martina, al di là del vivacchiare in fondo alla classifica del girone B di C1? Sta succedendo la solita cosa, con il solito schema: la società è perennemente in vendita, situazione che giustifica (secondo i dirigenti italiani) i ritardi nei pagamenti (stipendi da 2000 euro al mese, a gente che vive con famiglia lontano da casa propria), metà della rosa è sul mercato di gennaio (falsando quindi il prosieguo del torneo) per tamponare le spese correnti, il presidente asserisce di avere già fatto tanti sacrifici, i finanziatori si defilano, i quattro gatti di ultras contestano tutto e tutti, i pochi potenzialmente interessati a rilevare la società aspettano il cadavere gratis. Tornando al caso specifico la variazione sul tema, letta sul Corriere del Mezzogiorno: i calciatori del Martina, guidati non sappiamo ancora per quanto da Andrea Camplone, che di tasca loro pagano l’affitto di un nuovo campo di allenamento perché quello vecchio, in terra battuta, è di fatto impraticabile. Si stava meglio quando si stava peggio? La risposta è sì, pensando al semiprofessionismo della nostra infanzia tutto finti posti da impiegato e pagamenti in nero. Non è un ca
so che chi ha l’avvenire dietro le spalle, ma anche un minimo di nome, spesso preferisca serie D ed Eccellenza. Ma il Campionato Nazionale risolverà tutto…

5. Postulato: Blatter non ti querela, il dirigente della porta accanto sì. Il presidente della Fifa dichiara l’ovvio, cioé che un paese che affida la sua nazionale ad uno straniero in pratica ammette di non avere grandi tecnici e fa una pessima figura? La patria è in pericolo e a salvarla accorrono i soliti Gigi Riva (ormai un sosia in stile Sommersby viste le sue posizioni sui rifiuti alla Nazionale, lui che alla maglia azzurra ha dato due gambe fratturate, ed i ragionamenti del genere ‘Zeman non può parlare perché ha vinto niente’ che ormai non fa più nemmeno Moggi) ed il degno presidente dell’Associazione Allenatori Renzo Ulivieri, che già a suo tempo non aveva gradito le dichiarazioni su Calciopoli del colonnello svizzero, che fra i ‘meno’ della sua vita non ha comunque quello di essere stato squalificato tre anni per il calcioscommesse 1986. A parte il fatto che il vulcanico (si dice sempre così) tecnico della Reggina sarebbe il primo a scendere in piazza nel caso Abete affidasse la Nazionale a Mourinho, se la terra che ha inventato il calcio moderno ha dovuto affidare la sua panchina più prestigiosa a due stranieri, con il tragico inserimento di McClaren, tutto si potrà dire ma non che sia un motivo di vanto. In Premier League gli allenatori inglesi sono pochi, 9 su 20, meno della metà: Allardyce (Newcastle), Redknapp (Portsmouth), Coppell (Reading), Southgate (Boro), Curbishley (West Ham), Jewell (Derby County), Megson (Bolton), Bruce (Wigan) oltre al ritornato Roy Hodgson (Fulham). E nei top team nessuno, con l’esterofilia che ha raggiunto livelli imbarazzanti (ancora non si può credere ai 6 milioni all’anno che il Tottenham darà a Juande Ramos fino al 2011). Insomma, quelle di Blatter erano critiche all’Inghilterra e non a Capello. E comunque il curriculum di Donadoni non è superiore a quasi nessuno di quelli dei nove prima citati…

stefano@indiscreto.it

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