La creatura del sciur Aldo

23 Marzo 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Non c’è vita, diceva un grande attore, non c’è vita finchè non si ama e non si è riamati. E poi non c’è morte. Aldo Allievi ha amato davvero la sua splendida creatura, una società sportiva che sapeva di buono, che era qualcosa di speciale, per questa sua avventura è stato anche riamato.
 

Adesso che ci dicono di salutarlo per l’ultimo viaggio diciamo ai messaggeri di sventura che non esiste morte per gente come il sciur Aldo. Lui vive e vivrà in noi e non soltanto nel ricordo. Gli dobbiamo tanto perché era paziente quando sentiva gli altri scalpitare, quando si accorgeva che eri innamorato di mondi diversi, ma potevi anche cambiare idea, pur riconoscendoti il diritto di avere passioni che sfioravano le sue, ma avevano, magari, altri colori.
Voleva cambiarci la vita e il modo di pensare, di stare insieme, lo ha fatto con tanti dei suoi grandi giocatori, lo ha fatto il giorno in cui, era il 1956, decise di allargare la sua famiglia coinvolgendola nell’avventura chiamata prima palla al cesto, poi pallacanestro e, infine basket, lo ha fatto con tanti di noi proponendo un modo di vivere che non poteva essere quello dell’egoismo, della lite per il campione che segnava tanto ma non difendeva mai. La sua Pallacanestro Cantù era speciale e i maestri che scelse per quella scuola hanno tutti lasciato un segno, da Stankovic a Giancarlo Primo, da Taurisano a Bianchini, ma non pretendeva amore subito, a prima vista. Voleva obbligarti a stare un po’ nel convento cantuchiano insieme alla “famiglia” allargata.
Non erano cene, erano viaggi nel tempo e nella cultura andando alla fonte, bevendo più vino che acqua, anche se lui era all’acqua che chiedeva purezza, così come ai suoi giocatori, al massimo si potevano aggiungere bollicime, ma non come quelle degli altri, quelle che ha trovato convincendo gente estranea al mondo del basket a vivere la sua avventura. Erano carezze speciali e pensando a certi abbinamenti storici bisogna dire che aveva un tocco magico per convincere la gente ad entrare nella corte magna, nella casa dove stavano i ragazzi che poi avrebbero difeso il castello.
Erano notti lunghe, dopo le partite di coppa, con l’Alfredo Broggi grande maestro di cerimonie che coinvolgeva il sciur Aldo, faceva crescere bene il Roberto, dava un senso ad ogni cosa. Viaggiare con lui, con loro, stare insieme a loro, era un seminario alla Pia Madre. Era una meraviglia vederlo arrossire nel trionfo, diventare paonazzo se pensava di aver subito un torto, era splendido vederlo seduto a tavola mentre il professor Klinger, lo accolga lei caro prof che sicuramente avrà intorno altri smaniosi di farlo sentire di nuovo amato pretone, cercava di curarci tutti senza minacciare, ma cercando ci far capire.
Aldo Allievi capiva, ma vedeva nella gioventù che lo circondava, la voglia di osare oltre l’ultimo bicchiere. I giocatori erano a letto, erano ben custoditi, le coppe erano già al loro posto, perché fermarsi. Meglio brindare, litigare ancora, abbracciarsi e poi separarsi. Non ci sono aneddoti. C’è una vita. E in quella abbiamo vissuto e per quelle giornate noi negheremo sempre che Aldo Allievi, come Porelli, come Rubini, come tutti quelli che abbiamo amato in questo sport siano davvero morti.

Oscar Eleni

Share this article