La bottiglia giusta

31 Maggio 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
Niente male davvero il panorama dell’Arena di Verona, il pomeriggio che ha concluso il Giro: hai voglia a paragonare il ratto moseriano dell’84 a Fignon con la rosa 2010, anche se nel ciclismo il passato ha sempre ragione, stavolta finirebbe a tennis con il classico risultato degli occhiali.
Il pandemonio della città di Romeo e Giulietta ribadisce il pienone dello Zoncolan e di Kronplatz, il soldout di Amsterdam e le feste in Meridione; l’impressione è che questa Zomegnana, partita a fari spenti e cresciuta piano piano, sia stata memorabile. Una corsa benedetta, quindi della Madonna, con l’incipit di un vecchio vinile di Rod Stewart (“Never a dull moment”) e la rarità di un solo vero arrivo in volata. Il pubblico, sulle strade e davanti ai teleschermi (anche quelli dello streaming), ha fiutato benissimo l’odore di canfora mescolato a quello del sudore più crudo ed è accorso: il merito è soprattutto di una contesa folle, completamente priva di una logica, anarcoide e selvaggia. Le facce degli atleti su alcuni traguardi, stile “Germania anno zero” di Rossellini, di una bellezza che solo il dolore più sconcio sa disegnare sul volto.
Vince uno dei due atleti sperati, i fratelli spaiati del 1977 allenati da quel maestro dello sport che è Aldo Sassi; lo abbiamo pensato mentre osservavamo il suo Basso accodarsi molto faticosamente a Bitossino Scarponi verso il Tonale, con il Cadello Evani poco avanti: chissà che cosa provava, lui che sta combattendo contro un tumore al cervello, nel vederli così orgogliosi nell’acido lattico prolungato di quel momento. L’Ivan lo seguiamo da una vita, fin da quando vinse la gara più importante degli allievi (la Coppa d’Oro di Borgo Valsugana); era il 1993 e la determinazione, con quegli occhi limpidi da primo della classe, la stessa del venerdì decisivo sul Mortirolo.
Valutiamo la fortuna dello Squalo Nibali, il futuro prossimo di BiciItalia a tappe,
che ha come modello di riferimento uno stakanovista come il compagno Bassov: sfregaselle autentico, con una passione religiosa verso la bicicletta, venerata come un’estensione della propria persona e mai presa a calci, come invece fecero certi calciattori pedalanti in questi ultimi anni di passione e tormento.
Vittoria di un singolo inserito nell’unico vero squadrone italiano da…Eurolega: la differenza con l’aussie è tutta qui; la solitudine di Cappuccetto Rosso in maglia iridata è stata degna del colonnello Aureliano Buendìa. Ma l’alfiere della decaparecida Bmc è stato comunque epico in un Giro dominato anche dall’onda australiana: tre classifiche su quattro e l’impressione di un amore freschissimo ed incondizionato verso questo sport così esotico per loro. Il ciclismo un’avventura meravigliosa per il Richie Porte dalla Tasmania, che con la valigia di cartone (un Amedeo Foglietti al contrario) si è riempito gli occhi dei nostri paesaggi millenari.
Trionfa un trentaduenne ma si intravedono, al di là di Vincenzino e della maglia bianca, un sacco di nuovi protagonisti: la Liquigas che rinnova, oltre che una gran notizia per il movimento tricolore, è la conferma di un’intuizione. E’ infatti già la squadra di Nibali e Kreuziger, di Guarnieri e Oss, di Kiserlovski e Agnoli, di Sagan (il prossimo ras del plotone, ricordatevelo); una generazione con i denti da latte si sta affacciando e noi italiani (leggendo la carta d’identità dei Felline) ci dovremmo armare di pazienza certosina, con la certezza che l’aria fresca di questo Giro servirà per una ripartenza di tutto il movimento. Dopo anni di esperimenti del dottor Moreau, lasciamo l’isoletta alla Grande Boucle del prossimo Luglio che sarà quasi altrettanto appassionante ma verosimile.
Della corsa della Gazza ricorderemo anche Randy Arroyo Mamola in picchiata verso Edolo, il testosterone da guerriero di Vino, lo Stanislao Molinski biondo, l’ultima recita agonistica di Gibo Simoni e l’incrocio con tantissime storie agrodolci del Bel Paese. Il 28 Maggio in Piazza della Loggia, trentasei anni dopo, e la vicenda anderseniana dell’orso Dino adottato dal vecio Zandegù: nel Giro ci sta tutto, perchè è un contenitore che sfugge all’elettrodomestico e assomiglia a una scatola magica di Brachetti.
Terminiamo il bignami con una specialità della casa, ovvero dare i numeri; la corsa rosa trattata come le annate dei vini più pregiati: il 2010 profuma di stagione dorata. Per ogni decennio, in una cantina, preleveremo la bottiglia giusta: 2005, 1994, 1988 (il più gustoso di quelli visti), 1974, 1960 (siamo a tre Giri con il Gavia nel percorso, non è nemmeno più un indizio), 1955, 1946, 1939 (quello più incredibile da leggere nei libri di storia) e via così… Ogni volta un brindisi a un simbolo forte dell’italianità verace, consapevoli che l’identità della nostra terra rivivrà in eterno nei gesti silenziosi dei girini. A la santè.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

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