Kiko e il merchandising

6 Aprile 2009 di Stefano Olivari

In Italia l’unica cosa di cui tutti si vergognano è di non sembrare abbastanza furbi. Per questo la Lazio si è affrettata a spiegare che due anni fa aveva sì intuito le potenzialità di Federico Macheda, ieri a segno all’esordio in Premier League contro l’Aston Villa, ma che non l’aveva messo sotto contratto solo per i regolamenti italiani (fino al compimento dei sedici anni non si possono firmare contratti professionistici). Peccato che Macheda quell’estate fosse stato convocato da Delio Rossi per il ritiro estivo, che i sedici anni li avrebbe compiuti dopo pochi giorni (il 22 agosto) e che soprattutto il Manchester United lo abbia convinto al grande passo (ufficialmente pochi giorni dopo, il primo tesseramento è del primo settembre 2007) con ‘soli’ 80mila euro lordi l’anno, cioè l’ingaggio dei migliori Primavera d’Italia benefit (in genere un finto lavoro per i genitori) esclusi. Insomma, la solita storia: la Lazio credeva sicuramente in ‘Kiko’, ma non fino al punto di fargli proposte interessanti. Complice l’accordo di cartello fra i club italiani, che non si ‘rubano’ giocatori fra di loro ma lo fanno solo ai danni dei più poveri (meglio se africani o sudamericani), la strategia di Lotito era quella di far rosolare a fuoco lento il ragazzo e la famiglia. Ma Ferguson è arrivato prima, e dopo averlo visto entusiasmare nella squadra riserve allenata da Solskjaer adesso lo ha lanciato. Poi qualcuno scriverà che è merito degli stadi di proprietà e del merchandising.

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