Basket

Implacabile, per diventare Michael Jordan

Stefano Olivari 25/05/2021

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Per prepararci ai playoff NBA appena iniziati abbiamo letto Implacabile – Il metodo del coach di Michel Jordan e Kobe Bryant per vincere quando tutti si arrendono (Relentless il titolo originale). Eh la Madonna, pronunciato alla Renato Pozzetto d’antan. Il libro di Tim Grover è da poco uscito in Italia per Mondadori e ci ha subito incuriosito, in mezzo al miliardo di opere di questo genere, nel 99% dei casi di furbi che si rivolgono a falliti. Perché chi ha successo non può insegnare ad un fallito ad avere successo (e poi come si possono misurare fallimento e successo?), ma chi è rispettato da molti campioni della NBA ha come minimo qualche storia di prima mano da raccontare..

Un misto fra preparatore atletico, motivatore e imprenditore, Grover nella sua megapalestra di Chicago, Attack Athletics, ha avuto come clienti e anche più di una volta Jordan (infatti è anche intervistato in The Last Dance), Bryant, Wade, Barkley, Pippen, Olajuwon, dei quali è autorizzato a fare i nomi perché si sono ritirati, o perché, purtroppo per Kobe, sono morti, più altri del presente che non cita in quanto vincolato dal segreto professionale. Perché, per essere chiari, se un giocatore di questo livello ha bisogno di un preparatore personale significa che la squadra non gliene sa mettere a disposizione uno all’altezza. O, come dice Grover nel libro, gliene mette a disposizione sì uno all’altezza ma che però non ha alcuna autorità sul campione. È un dipendente dei Bulls, mettiamo, come Jordan, che però guadagna un millesimo di Jordan e conta un miliardesimo di Jordan. Per questo le squadre NBA vedono di buon occhio questi consulenti esterni, fra l’altro quasi sempre pagati dai giocatori. E già pagarsi un professionista che ti migliori denota la mentalità giusta.

Grover individua tre tipologie di persone di successo, Cooler, Closer e Cleaner, ed il cuore del libro è questo: le leve da usare per agire su queste persone che giocano in campionati differenti e che soltanto in circostanze eccezionali possono salire di livello, mentre più facilmente possono scendere. Le tre categorie viste dall’esterno possono essere accomunate dall’aura dei vincenti: perché tutte fanno parte dei ricchi, dei famosi, dei bravi nella loro professione. Però il good non è il great ed il great non è l’unstoppable. Grover insiste molto sui dettagli e la parte più riuscita del libro è quella in cui descrive grandi professionisti senza amore per la loro professione. Una cosa che nella pallacanestro accade più che in altri contesti, perché spesso il giocatore di basket è in un certo senso scelto dal suo fisico, non è stato lui a scegliere la pallacanestro.

La tesi di Grover è che si debba scegliere dove essere Cleaner e la scelta non necessariamente cade sul lavoro: se vuoi essere il Michael Jordan dei padri è impossibile che tu abbia la dedizione e la focalizzazione per essere il Michael Jordan (in proporzione) della tua attività lavorativa. Punto di forza delle sue tesi: il rifiuto degli schematismi, non si possono prevedere le mille varianti di una partita e della vita, il Cleaner deve essere pronto ad affrontarle tutte perché sa di avere la competenza per farlo, non perché conosce già la domanda. Un po’ come quando ci si presenta ad un esame: puoi sapere il minimo e passarlo, puoi sapere tutto a memoria e prendere un bel voto, ma puoi anche sentire tua la materia e prendere il massimo.

Il punto di debolezza è evidente: la focalizzazione sugli obiettivi è possibile soltanto quando questo obbiettivi sono identificabili. Se sei un tennista sai che il massimo è Wimbledon, se sei un giocatore NBA sono le Finals vinte da Mvp, se sei un calciatore la Coppa del Mondo, ma fuori dallo sport? Chi può dire se sei l’avvocato numero 73 del mondo e come puoi sapere se sei diventato il 65? Chi è un insegnante di successo, chi ha un ex alunno diventato presidente del Consiglio o chi ha fatto fare passi avanti a un handicappato? Un giornalista bravo si misura dal numero dei click, dai premi, dallo stipendio? Come si fa a diventare il Michael Jordan dei padri, dei mariti, dei figli?

Insomma, una lettura interessante al netto di quella ideologia da maschio alpha che si respira in ogni pagina e che in ultima analisi crea falliti: puoi pensare come Kobe, lavorare come Kobe, dedicarti al basket come Kobe, ma lo scenario più probabile rimane quello dei tornei aziendali. Nel suo genere, genere di cui non abbiamo una grande opinione, è comunque un libro che si fa leggere.

 

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