Calcio

Il passaporto falso di Recoba

Stefano Olivari 27/09/2020

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La figura meschina rimediata dalla Juventus, al di là di conseguenze penali e sportive probabilmente nulle, con il finto esame di Suarez all’università di Perugia è un ottimo aggancio di attualità per la nostra rubrica su Recoba, riguardante un fatto più grave e che portò alla squalifica del Chino e di Gabriele Oriali: stiamo parlando ovviamente della storia del passaporto falso, risalente al 1999.

L’antefatto, ben spiegato nel libro di Enzo Palladini ‘Dimmi chi era Recoba’ (Edizioni inContropiede) è che l’Inter fin dal 1997, cioè dall’acquisto dell’uruguayano, si era attivata per trovargli un passaporto comunitario. Ma nell’impresa di trovargli un avo per lo meno spagnolo (si era cercato l’impossibile alle Canarie) non era riuscito nemmeno Paco Casal, così il problema tornò in carico all’Inter, in un’epoca in cui c’era il limite di tre extracomunitari schierabili. Inter che lo risolse con un passaporto falso, senza mezzi termini, che fu consegnato da Oriali a Recoba. Dal documento, si fa per dire, risultava che Recoba fosse di ascendenza italiana e residente a Roma…

Un anno dopo scoppiò Passaportopoli, che coinvolse tanti giocatori (Dida, Veron e Warley i più famosi) e tante squadre, che usando intermediari di vario tipo avevano trovato avi italiani o comunque europei ai loro calciatori. La differenza con il caso Recoba è che i suoi colleghi avevano usato documenti falsi per avere un passaporto regolare, mentre quello del Chino non valeva nulla proprio come documento (la Questura di Roma non ne aveva mai saputo niente), al di là dell’esistenza di queste presunte radici italiane. Tutto falso.

Sta di fatto che Recoba da quel settembre 1999 iniziò ad essere schierato come comunitario di status, a prescindere dalle necessità dell’Inter di utilizzarlo come tale. Il tutto nella sua totale inconsapevolezza, che non è un’attenuante perché l’ignoranza è una colpa. In seguito Franco Baldini, ai tempi direttore sportivo della Roma, si sarebbe preso molte responsabilità dicendo di avere indicato lui ad Oriali l’intermediario poi rivelatosi un truffatore, ma nemmeno questa è una grande attenuante.

Fra il perdere a tavolino tutte le partite con Recoba comunitario (per l’Inter avrebbe significato retrocessione in serie B), a prescindere dalla necessità di schierarlo come tale, come sarebbe stato teoricamente possibile, e l’insabbiamento, ci si sarebbe aspettati, anche nel calcio marcio di quegli anni, come minimo una forte penalizzazione in termini di punti, o per il passato o per la stagione 2001-2002. Invece, restringendo il discorso all’Inter, anche se tutti gli altri, dalla Roma al Milan, furono di fatto graziati a parte mesi di stop per qualche dirigente, ci fu soltanto un’ammenda.

E per Recoba? Sospeso dal febbraio 2001, dopo un’iniziale squalifica fino al giugno 2002 con i vari sconti sarebbe tornato in pista alla fine dell’ottobre del 2001. Per Oriali un anno di inibizione, dopo cui tornò all’Inter (Dando così ragione a chi sosteneva che si fosse accollato colpe di altri), e un brutto tempo supplementare con la giustizia ordinaria: per lui e Recoba una condanna a sei mesi tramutata in multa. Con il colpo di classe della patente di guida di Recoba, anche questa falsa, da cui risultava che il Chino l’avesse ottenuta dalla Motorizzazione di Latina. Una delle pagine peggiori della gestione Moratti all’Inter e senz’altro la peggiore della carriera di Recoba. Non la peggiore nella storia del giornalismo sportivo, anche in questo caso bravo a trasformare i colpevoli nelle immancabili ‘parti lese’.

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