Il mito degli impianti che mancano

25 Maggio 2009 di Stefano Olivari

Solita domanda: i Mondiali, in ogni disciplina, per il paese organizzatore devono essere un punto d’arrivo, un punto di partenza o un’occasione di rilancio? Secondo la FIBA questa volta buona la prima, visto che la Spagna oltre ad essere la seconda nazionale più forte del pianeta ospita anche il secondo campionato professionistico più importante (la ACB) ed avrebbe gli impianti pronti anche per domani mattina, al di là del nuovo megaprogetto Real ispirato da Florentino Perez (una arena NBA con il sogno di giocarci davvero, nella NBA). E così il Mondiale 2014, dopo l’edizione 2010 in Turchia, sarà madrileno. Sabato dopo la prima votazione in albergo di Ginevra il Central Board ha escluso la Cina, con l’Italia che ha avuto così il discutibile ‘onore’ di perdere solo al ballottaggio finale. A nulla sono valsi gli impegni economici presi dal governo (organizzare il giochino costerebbe sui 40 milioni di euro), il prestigio internazionale di Meneghin, il messaggio di sostegno di Manu Ginobili (la Spagna ha risposto con il tris Scola-Nocioni-Oberto) e varie relazioni personali. Poi il quadro era quello che era: le città trainanti (Siena, Bologna, Roma) del movimento hanno progetti solo sulla carta, le altre vivacchiano grazie al mecenate di turno, la Nazionale prende sberle anche a livello medio-basso da dopo Atene 2004, la Spagna ha una maggiore capacità di proporsi come movimento invece che come somma di campanili. Ma non facciamo schifo, come piacerebbe al giornalismo autoflagellante, e di sicuro valiamo molto più della Turchia o del Giappone 2006. Conclusione: l’entusiasmo e lo spazio mediatico per la pallacanestro possono tornare anche senza bisogno di speculazioni immobiliari. Il pubblico è leggermente più importante degli impianti in cui sistemarlo.

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