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Il decennio di Craxi

Stefano Olivari 19/04/2013

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Storia d’Italia degli anni ottanta – Quando eravamo moderni, di Marco Gervasoni (Marsilio).

Se potessimo scegliere un luogo e un decennio in cui vivere per sempre, sceglieremmo l’Italia degli anni Ottanta. Un luogo dell’anima, prima ancora che un contesto storico irripetibile. Impossibile raccontare la varietà e l’abbondanza di stimoli di quel decennio a chi non c’era, senza cadere nella trappola della nostalgia o della mistificazione: non tutti i guai che stiamo vivendo oggi dipendono dall’euro o dall’ammissione della Cina nel WTO, perché è proprio negli anni Settanta e Ottanta che sono state messe le basi strutturali per il dissesto della finanza pubblica e per la distruzione di un concetto ‘alto’ di politica. Possiamo ridere dell’ignoranza di un Crimi o di una Lombardi, ma i mitizzati ‘grandi partiti popolari’ e i mitizzatissimi partiti laici (quelli che abbiamo votato per anni, consapevoli che fossero ruote di scorta) hanno la grande colpa di non aver saputo governare e trasformare in sviluppo duraturo gli straordinari slanci culturali dei Sessanta, dei Settanta e degli Ottanta. Sono state scritte migliaia di storie politiche di quelle epoche, logicamente faziose (tutti siamo tifosi, chi dice di non esserlo anche di più), ma quasi tutte prive del dono della sintesi. Non a caso è la grande letteratura, più della saggistica, a restituire il senso di un’epoca con due pennellate. Il libro dello storico Marco Gervasoni (che non conosciamo, in questa vesrione 2.0. di Libri veramente letti preciseremo sempre questo dettaglio) colma secondo noi questa lacuna. Non procede per accumulo, ma partendo dalla politica (l’uomo chiave degli Ottanta italiana è ovviamente Bettino Craxi) e dall’economia prova ad inviduare in vari settori della società la presenza dello spirito del tempo ma anche di contraddizioni che le varie operazioni nostalgia hanno cancellato. In un’Italia ancora psicologicamente con schemi da dopoguerra, inserita in un contesto internazionale bloccato da una guerra fredda in versione ormai light ma pur sempre fra due superpotenze percepite come di eguale forza. Non è di sicuro un libro a tesi, a meno di non voler fare la caricatura dei critici (secondo cui il biografo di Hitler è in fondo un po’ nazista e quello di Totti deve essere necessariamente un po’ romanista), ma un’opera che prova a leggere un decennio pieno di spunti e di suggestioni. La conclusione non c’è, così come la morale. E’ evidente che a generazioni di distanza gli Ottanta sono detestati da chi oggi vota a sinistra-sinistra (ma il PCI arrivò ai suoi massimi storici…), da gran parte dei cattolici (con una Democrazia Cristiana fortissima e la Chiesa potentissima) e anche dalla destra del tipo legge e ordine che si trovava all’improvviso davanti un mondo dinamico come non mai. Allo stesso modo sono rimpianti dalla destra liberale (oggi in Italia rappresentata da… nessuno) e dai molti che non hanno mai considerato il socialismo in contrasto con i diritti degli individui. La prima Italia, quella dell’aderenza a un canone colpevolizzante nei confronti delle aspirazioni dei singoli, era maggioritaria allora e lo è purtroppo anche oggi.

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