I conti senza l’Hoste

20 Aprile 2007 di Stefano Olivari

1. Il numero di Bartoli e la cifra del Ballan (foto) 2007. Più di un osservatore ha estratto dalla sua memoria di ferro (vecchio) il ’96: il veneto si sarebbe fumato il Kapelmuur come il toscano, all’aria del Giro delle Fiandre. E del resto la supermoviola confermerebbe il risultato. Entrambi scollinano con pochi secondi sugli inseguitori, dopo uno scatto che fa male solo a vederlo (Video 1 e Video 2). Bene. Peccato solo che il teorema non faccia la differenza tra un’eccezionale impresa solitaria e un’eccezionale impresa a due, poi brillantemente risolta. Giusto: come fare i conti, senza l’Hoste? (Nel nome, l’imprecazione dello sconfitto).
2. A proposito. Fabian Cancellara, Tom Boonen, Filippo Pozzato, Paolo Bettini, Alessandro Petacchi: dalla Roubaix in indietro, fino alla Sanremo, ecco l’ordine d’arrivo dei battuti di corsa. Appena pochi con la giustificazione firmata dal medico. Molti altri con scuse da presentare alle prossime partenze. I primi due della speciale graduatoria si sono segnalati per una speciale condotta di gara, scivolosa sia sui muri sia sul pavé. Dei tre italiani, almeno il più giovane è rimandato a settembre. Il più velocista, invece, abbisogna per davvero di un recupero lentissimo. Quanto al campione del mondo: non è detto non si possa comunque congedare ripetente, ancora nel prossimo autunno.
3. «Lo sanno tutti che il ciclismo è uno sport pericoloso. Cadute e feriti fanno parte delle corse. E poi non è morto nessuno. Si va avanti così: chi non se la sente, non parte». Ancora una volta sono ruzzolati giù dal Kemmeltop della Gent-Wevelgem (Video 3). E c’è chi proprio ci ha rimesso la faccia. C’è chi ha appena digrignato i denti (s’intende quelli rimastigli in bocca). C’è chi si è almeno morso la lingua: perché si parla sempre di sicurezza dei lavoratori sicuramente troppo tardi? C’è infine chi ha fatto spallucce. Come da virgolettato. L’espressione di un sovrappensiero forse cinico: ma che non fa una grinza. Non l’avesse esternato, distratto, nientemeno che il presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale.
4. Tra Ivan Basso e Damiano Cunego ci sono quasi quattro anni di differenza: per quest’anno ancora a favore del primo. Il secondo, nel frattempo, sta giusto ripercorrendo le orme esatte di chi lo precede. Un occhio alla posizione in bicicletta e l’altro alla frequenza delle pedalate, sul minuto. Una grossa attenzione alla distribuzione dello sforzo, in una prova contro il tempo. Il massimo riguardo esibito nei confronti di collaboratori e colleghi. La minima vanteria di una copertina stracafonal per «For Men Magazine». Attenti a quei due: nella migliore delle ipotesi, una (bella) strana copia.
5. «Giro, passione italiana». Un claim pubblicitario d’amore e d’autarchia. Ovvero: di anno in anno, al via della nota corsa rosa si presentano sempre meno stranieri, e sempre meno competitivi. Colpa degli organizzatori o colpa del calendario internazionale? Merito del Tour de France o merito del campo atleti nazionale? I soliti panini bene infornati registrano le ultime dichiarazioni nel merito della questione, sollevata in sede politica. E imbottiscono di disperazione il silenzio vuoto di chi ancora si riempie di gioia, facendosi una scorpacciata di ciclismo per tre-settimane-tre. Le grosse gare a tappe dimagriranno tutte, Vuelta compresa. Sulla bilancia pesano come un macigno rapporti di forza troppo squilibrati: senza i diritti televisivi rovesciati su mezzo mondo, la debolezza di certi eventi sarebbe da svenimento. Senza premi ricchi e ricchissimi, non pedalerebbe neanche il più povero tra i gruppi sportivi. Che professionisti sarebbero, altrimenti?

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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