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Formula 1: Drive to survive 3, il bello dei comprimari

Stefano Olivari 12/05/2021

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Non è necessario essere appassionati di Formula 1 per apprezzare la terza stagione di Formula 1: Drive to survive, la serie televisiva di Netflix, come le prime due articolata in 10 puntate dal grandissimo ritmo ed anche piene di scelte narrative interessanti. Una cosa non scontata, in queste produzioni da finti insider (gli All or nothing di Amazon, per dire), ma forse pur con tutti gli interessi in campo gli sport individuali esprimono personalità più forti e quindi adattissime al racconto televisivo. Finita di vedere da poco l’ultima puntata, con lo strano effetto di incrociarla con la vera stagione della Formula 1 2021.

Drive to survive 3 non è la didascalica rivisitazione della stagione 2020, ma fa salti cronologici alternando storie dei singoli ai gran premi, ansie per il futuro e drammi personali, amicizie e tradimenti, iperprofessionismo ed ingenuità. C’è chi è più a suo agio davanti agli intervistatori come Chris Horner, e chi meno come Mattia Binotto, ma tutti anche quando dicono banalità con uno sguardo o con un’espressione raccontano tantissimo. Ragazzi da noi considerati fortunati che si trasformano in personaggi da tragedia: impossibile non soffrire per Alex Albon, messo sotto esame dalla Red Bull, ma anche non tifare per Sergio Perez, commuovendosi per la rimonta nel Gran Premio del Sakhir che poi gli è valsa l’ingaggio da parte di Horner quando già pensava al ritiro.

In Formula 1: Drive to survive ci rendiamo meglio conto di quanto Grosjean sia andato vicino alla morte, di come il compagno di squadra sia il primo nemico (bellissima la parte su Norris e Sainz), di come la sopravvivenza sia in discussione per almeno metà delle scuderie, di quanto sia importante anche un singolo punto (nemmeno a dire di una vittoria, come quella storica di Gasly con l’Alpha Tauri), di come al di sotto del livello degli Hamilton e dei Verstappen le scelte siano dettate soltanto dagli sponsor: illuminante la puntata sulla Haas. Niente che già non si sapesse, ma molto significativo vederlo sottolineato ed accettato, anche quando gira male, dai diretti interessati.

La produzione e la regia sono inglesi, così come la Formula 1 è un mondo a netta prevalenza anglosassone nella lingua, nel personale tecnico, nella mentalità. Forse per questo non ha avuto troppo spazio la Ferrari, anche se la puntata incentrata su Vettel e sul suo lungo addio a Maranello, prima di annunciare il passaggio alla Racing Point (ora Aston Martin), è fra le migliori. Forse sulla Ferrari non c’era molto da dire ed è probabile che anche Formula 1: Drive to survive 4 prosegua su questa linea. Va detto che la scelta vincente della serie è quella di dare un minimo spazio ad Hamilton (super invece la parte su Bottas) e Verstappen, per concentrarsi sugli emergenti e su quelli che non emergeranno mai. Il titolo della serie è tutto tranne che casuale.

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