Esterni al sistema

2 Febbraio 2012 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Pensare che Roberto Saviano scriva come un ragazzo di seconda media non significa fiancheggiare la camorra, quindi giudicare già letto e straletto l’ultimo libro di Carlo Petrini, Lucianone da Monticiano, non equivale ad una rivalutazione etica di Moggi. Lo diciamo con tutta la simpatia per un uomo che ha vissuto in prima persona il calcio sporco degli anni Settanta e che ne ha potuto parlare solo perché uscito dal giro.
Chi ci rimane, anche solo come opinionista non pagato di una tivù locale, non potrà mai raccontare oltre certi limiti ciò che ha visto. Petrini (non importa che abbia un negro, la faccia è la sua) dopo Nel fango del dio Pallone ha scritto altri libri di grande interesse, primo fra tutti Il Calciatore suicidato (molti anni prima che l’inchiesta sulla morte di Donato Bergamini venisse riaperta), sempre meno legati all’epoca da lui vissuta sul campo, prima di incappare in una serie infinita di disgrazie personali e di malattie.
Ma veniamo al libro appena uscito per Kaos e comprato sulla fiducia, nei confronti dell’autore ma soprattutto di un editore che non è nel giro giusto delle recensioni e si capisce anche il perché. I libri Kaos trattano di solito temi fortissimi della storia italiana recente: non solo Calciopoli, ma anche l’omicidio Pecorelli, il Piano Solo, l’ascesa di Berlusconi, il culto di Padre Pio, eccetera. Non grande letteratura, di solito, ma atti giudiziari sintetizzati e commentati in modo che non occorra essere un avvocato per seguire il filo. Con un tono ben lontano dal volemose bene di quando gli stessi argomenti vengono tradotti in una fiction. Anche se per la verità fiction su Pecorelli, De Lorenzo e Berlusconi, magari sempre con Beppe Fiorello protagonista, non ce ne ricordiamo, mentre sulle varie agiografie di padre Pio stendiamo un velo non pietoso…
Lucianone da Monticiano rientra in questo filone, ma ha un suo problema di fondo: da Lucky Luciano (sempre di Kaos, ma non di Petrini) ad oggi, su Moggi e dintorni è stato scritto scritto di tutto sia in chiave critica che in chiave assolutoria. E quindi è difficile che un medio lettore rimanga stupito da atti che ha già visto sui giornali (pochi, va detto) e dal modo in cui Petrini inquadra il suo compaesano (‘Mi hanno ucciso l’anima’, classe 1937, è però di 11 anni più anziano). Le parti più stimolanti sono quelle riguardanti i giornalisti e il clima mediatico in cui Moggi si è potuto muovere: Biscardi, Ordine, Damascelli, Scardina, Cucci, non commettono reati ma non escono dalle intercettazioni che li riguardano come giganti della loro professione. Ecco, alla fine della lettura si rimane con questo pensiero: un giornalista non deve trovare le prove di un reato, quello è un compito della magistratura e quindi il giornalista può solo umilmente andare a ruota, ma deve almeno essere in grado (nel presente!) di avere un punto di vista esterno rispetto all’oggetto del suo lavoro. Se poi il personaggio non ti dice che il Botafogo gli ha dato l’opzione su Cotechinho, pazienza.
Anche questo libro di Petrini, che era già fuori dal calcio quando i fatti narrati stavano accadendo, avrebbe potuto essere scritto con nome e cognome da un giornalista. Anche questa volta, nel 2012, non è accaduto. Viene da chiedersi il perché.


Twitter @StefanoOlivari

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