Enrico Ruggeri riscoperto dal Premio Tenco

15 Ottobre 2021 di Paolo Morati

Dunque Enrico Ruggeri avrà la possibilità di esibirsi sul palco del Premio Tenco, la cui rassegna quest’anno prende la denominazione ‘canzone senza aggettivi’. Una scelta che avevamo auspicato tempo fa, quella di essere meno settari rispetto a quanto circola nel mondo discografico italiano, e che nel caso di Ruggeri suona come una sorta di risarcimento tardivo dopo decenni di esclusione da una manifestazione che nella sostanza viene vista (forse con un pizzico di presunzione?) come baluardo della canzone di qualità, qualsiasi cosa questo termine significhi.

La motivazione del premio alla carriera assegnato a Ruggeri è questa: “Ondivago tra le tipiche atmosfere del rock, così dense di stimoli suggestivi, e il mondo evocativo della chanson, ama scavare nel ramificato universo dei sentimenti e delle emozioni con il linguaggio discorsivo della quotidianità, lontano da ogni pretesa o artificio letterario. Eppure, grazie anche all’uso di rime e assonanze sapientemente distribuite con apparente noncuranza, si dimostra sapiente creatore di originali costrutti espressivi. Musiche sempre accattivanti sanno rivestire i suoi testi creando originali connubi che sono poi esaltati da un inconfondibile timbro vocale. Quando si dice l’artista…”.

Ruggeri è di fatto un grande narratore che ci ha accompagnati fin dai primi anni Ottanta con le sue storie in musica. Ma per noi è soprattutto un curioso, un osservatore del mondo, visto con intelligenza e acume e quindi tradotto in versi. Peccato che quelli del Tenco se ne siano scordati per troppo tempo, laddove per altri artisti non si sono mai negate partecipazioni e riconoscimenti plurimi e finanche telefonati. Di fatto è dal 1988 che il cantautore milanese manca dalla rassegna, anno di uscita di La parola ai testimoni, un disco poco celebrato nella sua vasta discografia. Scelta legittima quella del ‘club’, ma per noi discutibile da parte da quella che si auto definisce “rassegna della canzone d’autore”.

Tanti i versi a cui siamo affezionati, da “Non esiste gioia che la vita ti darà che potrà eguagliare ciò che ti si negherà” (Savoir Faire) e “Perché la vita è una recita a tema che tutto confonde, mentre una luce si accende, altre non scaldano più” (Rock Show) a “Con il passato che ho, dopo mille battaglie e pericoli, di niente al mondo mi pento, nemmeno il vento è più curioso di me” (Ulisse) e “Vivo la vita e non faccio niente che cambierei questa è la vita e ricevi per quello che dai” (La mia religione) fino all’immortale, per noi recobiani, “Io sono quello da guardare, quando ho voglia di giocare, sono schiavo dell’artista che c’è in me.” (Il fantasista).

Poi, come accade per tutti, ci sono stati album riusciti e altri meno, sconfinamenti nel pop più d’avanguardia (non finiremo mai di ringraziarlo abbastanza per Diana Est), grandi canzoni affidate ad altre voci (come quella di Fiorella Mannoia, lei sì abbonata al Tenco e premiata anche quest’anno. Riconoscimento dato anche a Vittorio De Scalzi, da noi intervistato recentemente) e lavori in radio e televisione di più o meno successo. Ma anche la, almeno ai nostri occhi, scarsa frequentazione di salotti autoreferenziali il che, alla fine, non può che essere visto come un grande merito.

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