Crediamoci senza convinzione

12 Gennaio 2007 di Stefano Olivari

1. Dieci buoni propositi, per l’anno ciclistico che viene: scorrere con interesse le classifiche del ProTour, anche solo per deformazione professionale; sostenere con onestà intellettuale che Filippo Pozzato non è un altro Gabriele Colombo; inserire comunque il nome di Danilo Di Luca, in una lista (più o meno estesa) di pretendenti alla maglia rosa; considerare ancora Michele Scarponi come una giovane promessa; dimenticare José Rujano (già dimenticato José Enrique Gutierrez Cataluña); ricordarsi di Oscar Pereiro Sio; mettere in crisi la categoria giornalistica del “dualismo”; rileggere Giro d’Italia con delitto di Gian Paolo Ormezzano (Garzanti, Milano 1983); registrare la crescita del movimento femminile; credere ancora, senza troppa convinzione, nel più incredibile (o meno credibile) degli sport professionistici.
2. Dieci cattivi presagi, per l’anno ciclistico che viene (se viene): l’operazione simpatia promossa da Lance Armstrong, in aiuto a Ivan Basso e alla Discovery Channel, si risolverà infine nel suo contrario (do you remember l’eterogenesi dei fini?); Jan Ullrich si perderà, e quel che è peggio non saprà tornare; Boogerd, Zabel e Rebellin individueranno altri vincenti dietro ai quali piazzarsi di volta in volta, ciascuno al suo posto; tesseremo lodi sperticate di baby-campioncini tutti da dimostrare, per poi ritrovarli dietro Belli e Noè negli ordini d’arrivo; fino al 7 luglio 2007, il Giro parrà davvero aver acquisito la medesima dimensione internazionale dell’evento-Tour; la crisi del settore della pista sembrerà ormai irreversibile, epperò stabile; dal Kazakistan salterà fuori l’ennesimo talentaccio, che neanche il Borat Sagdiyev di Sacha Baron Cohen; incappati in una telecronaca di Alessandro Fabretti, giudicheremo con magnanimità quelle di Auro Bulbarelli; e si prenderà sul serio Gigi Sgarbozza, ma solo perché non vale meno dei tanti opinionisti del calcio, nel mucchio selvaggio delle locali; si avrà infine l’impressione che il più incredibile (o meno credibile) degli sport professionistici sia come divenuto – per quanto possibile, anche solo un tantino – ancor meno credibile.
3. No, il ghost writer del presidente del CIO, Jacques Rogge, non è mica Jacques II de Chabannes de La Palice. E non è nemmeno Massimo Catalano. Il punto è che di questi tempi fa notizia anche una dichiarazione del tipo: «Basso e Ullrich possono correre dove vogliono e con chi vogliono». Mai dare niente per scontato, oggigiorno, nell’ambiente ciclistico. Difatti, e solo per esempio: siamo forse sicuri (ma sicuri sicuri) che chi arriva in rosa a Milano o in giallo a Parigi, rimanga poi il vincitore indiscutibile di quel Giro d’Italia o Tour de France che sia?
4. Dite a Jean-Marie Leblanc che per «VeloNews» resta comunque Floyd Landis il corridore americano dell’anno. Nel frattempo, Oscar Pereiro Sio si deve accontentare del riconoscimento che gli ha tributato «Time».
5. E non dite a Gilberto Simoni che il fuoristrada non rappresenta tanto «il futuro del ciclismo, in generale»: quanto, giusto il suo personalissimo e più che interessato avvenire (neanche troppo lontano?).
6. Tra gli attestati di stima e di solidarietà giunti ad Alessandra De Stefano, in lotta con la RAI per ottenere un ricongiungimento familiare, spicca per lirismo quello del suo ex direttore Marino Bartoletti: «Tu hai la forza del talento e dell’onestà. In teoria dovrebbero bastare. Altrimenti… altrimenti – tu che ami la musica – rileggiti Francesco Guccini, ultimo verso de L’avvelenata, e gridalo al mondo. In fondo che c’entri tu con “loro”? Chi non ti vuole, non ti merita. Vivi!». E lascia vivere? Parigi val bene una messa, cantata all’USIGRAI. Che farà la brava e agguerrita giornalista? Seguirà forse il consiglio di Massimo De Luca, che le suggerisce di licenziarsi («tanto poi ti verremo incontro con qualche contrattino…»)?

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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