Bambini che si muovono

23 Dicembre 2008 di Stefano Olivari

L’Italia è campione del mondo e l’Inghilterra ha inventato il calcio moderno, ma come il Brasile non c’è nessuno. Ieri la CBF (la federazione brasiliana) di Teixeira, che i giornali copia & incolla continuano a definire genero di Havelange nonostante abbia divorziato dalla prima moglie da oltre un decennio, ha reso noto che nel 2008 è stato toccato il record planetario di emigrazione calcistica: 1176 (!!!) giocatori brasiliani hanno infatti firmato per squadre di altri paesi. Numero clamoroso in assoluto, ma anche confrontato con i 530 del 2007. Ovviamente a dominare nella classifica degli importatori è il Portogallo, vera terra promessa del doppio passaporto, con 209, ma anche l’Italia con i suoi silenziosi 53 non è male (di fa per dire). Solo 15 brasiliani 2008 per l’Inghilterra dei muri non dichiarati, mentre per il resto delle cifre rimandiamo al sito CBF. Rubiamo la considerazione finale al preparatore atletico di un grande club, secondo cui la superiorità brasiliana sul resto del mondo ha poco a che fare con discorsi etnici ma dipende da un misto di cultura specifica (che non mancherebbe nemmeno in Italia o in Spagna, per non dire l’Argentina) e di memoria e destrezza motorie oggettivate da ogni test. Chi è abituato a giocare, non diciamo in strada come vorrebbe il luogo comune ma sicuramente giocare in senso fisico, fin dai 5 anni assume sui suoi coetanei irregimentati un vantaggio incolmabile. Poi a livello di primi undici può dominare in teoria anche il Belgio, ma nella media il bambino brasiliano anche benestante (nel gruppo di Dunga gli ex ragazzi delle favelas sono netta minoranza e questa è la tendenza anche nelle giovanili) non è ancora stato ancora distrutto dai videogiochi e dai genitori. Lo provano anche sport in Brasile considerati ‘bianchi’ come il volley, il basket o il tennis, e nello stesso calcio i ruoli più legati all’istinto: chi si muove prima di solito si muove anche dopo.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
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