Azionismo senza squadra

18 Febbraio 2012 di Fabrizio Provera

Norberto Bobbio

di Fabrizio Provera
Torino accoglie il basket italiano e le Final Eight con distacco aristocratico e sabaudo, ma non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta di città monarchica per rango e lignaggio automobilistico. La città di Norberto Bobbio, dell’austera cultura azionista, dove quando la politica era ancora una cosa seria (spunto di riflessione per i fan acritici di Tangentopoli, usando lo stesso metro di quei tempi oggi la monetine da lanciare non basterebbero) in Consiglio Comunale i capigruppo del Partito Comunista si chiamavano Piero Fassino e Giuliano Ferrara, e mentre regnava il sindaco-monarca rosso Diego Novelli il sire del Lingotto, Gianni Agnelli, spedì dritto in Consiglio comunale, a mo’ di austero sorvegliante, il conte di Palormo, dirigente Fiat e già sindaco di Palormo (ci mancherebbe altro: il castello del grazioso Comune, assieme a buona parte dei terreni, appartengono da secoli alla sua famiglia…).
Le 4, forse 5mila presenze al Pala Olimpico durante i quarti di finale sono un primo segnale di attenzione; forse era lecito attendersi di più, tuttavia lo sforzo comunicativo e d’immagine va elogiato. Il segnale più confortante sono le decine di ragazzini che, negli immensi corridoi del palazzo, cercano di emulare le gesta di McCalebb, Basile o del folletto avellinese Green, 1 metro e 65 di devozione alla religione del cesto. Giorgio Viberti, ramo aristocrazia giornalistica torinese (Tuttosport), pone con eleganza discreta il dito nella piaga: città desiderosa di basket, tre impianti per oltre 20mila posti a sedere complessivi, nessuna squadra di vertice. Verissimo, replica Andrea Trinchieri, coach di Cantucky, ma prima la società italiana ed il basket sono chiamati a risolvere e districarsi tra problemi ancor più soverchianti.
Eppure, seduti a bordo del parquet post olimpionico invernale, non si può che rimanere ammirati: sì, è un delitto che cotanto scenario viva solo pochi giorni l’anno per il culto della palla a spicchi. E se il PalaRuffini, casa della Berloni Torino, dista qualche chilometro, al Pala Olimpico aleggiano i fantasmi di Ricky Morandotti (nativo di Rozzano, come Biagio Antonacci, ma suonava tutta un’altra musica), talento indimenticato del basket azzurro negli anni Ottanta ed ex… editore (!) del direttore di Indiscreto, ma soprattutto di Carlo Della Valle, che non a caso fu chiamato il Conte: la sua gloriosa carriera finì difatti a Carmagnola, nella provincia torinese dove per secoli ha regnato un prospero contado.
Tutto come da pronostico di coach Trinchieri, nei primi due giorni: Milano-Siena, Pesaro-Cantucky. E noi, che di Cantucky siamo devoti, registriamo il Trinchieri pensiero del dopo Avellino: “Se devo scegliere un titolo per le Final Eight, dico Il riscatto di Milano. Se avessi un euro da puntare, per la semifinale punterei sull’Armani. Quanto a Pesaro, che ha già battuto tutte e tre le semifinaliste, è chiaro che si tratta della favorita. Alla fine vinceranno loro”, sogghigna divertito il coach. Ne vedremo delle belle, almeno questa è la percezione, sicuramente basta la presenza della sorella dell’ex Lakers Rick Fox ad incrementare sensibilmente il livello estetico della competizione (parliamo di quel ramo dell’Estetica che Stefano Zecchi insegna alla facoltà di Filosofia della Statale, ovviamente). Cantucky resta in attesa, intanto si gusta l’esordio di Doron Perkins, pezzo pregiato dell’aristocrazia cestistica, 6 assist distribuiti – pur a ritmo rallentato – uniti a tanto fosforo e un forte carisma. Un tonico anche per Andrea Cinciarini, che sfodera una prestazione davvero convincente, anche in attacco.
Nei corridoi del palazzetto, con pantaloni di chiara foggia toscana, cammina con passo lento Ferdinando Minucci, presidente ed anima del Montepaschi forse prossimo ad una rivoluzione di budget. Lo scrutiamo attenti, e ci chiediamo se la nobiltà della Mens Sana sia compatibile con il nostro metro di giudizio: che si tratti di aristocrazia non c’è dubbio, ma la secolare tradizione bancaria del Granducato fa pendere la bilancia dal lato dell’aristocrazia dell’oro, a nostro fermo avviso necessariamente subalterna all’aristocrazia del sangue. Di nobile, lo dice con ammirata invidia Andrea Trinchieri, Siena ha certamente la mentalità. Quella che, acciacchi e difficoltà ormai metabolizzati, potrebbe portare il coach di Cantucky a perdere il suo euro di scommessa. Ma cosa pensi realmente Trinchieri, quando dà per favorite Milano e Pesaro, in cuor nostro lo sappiamo. E allora tutti pronti a una finale tra Siena e Cantucky, che forse non sarà né una riedizione né una copia del passato. Tutto scorre e tutto cambia, anche nella pallacanestro.

Fabrizio B. Provera, da Torino (18 febbraio 2012)

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