Armani e i limiti del basket

23 Ottobre 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Tre non notizie dalla serata di Assago. La prima: il Panathinaikos è la miglior squadra d’Europa anche dovendo rinunciare a tre campioni (Jasikevicius, Tsartsaris, Batiste) e provando ad inserire nuovi arrivi di prospettiva (Calathes, Tepic) con ragazzi acerbi come Shermadini. I canestri pesanti di Spanoulis, Pekovic ben cavalcato come nessuno ormai più sa fare con i centri (anche perché nessuno ha Pekovic), la pulizia tecnica di Perperoglu, le solite tre giocate decisive di Diamantidis (tap in seguendo un contropiede di Nicholas e palla rubata metà campo con canestro facile): e il Pana va, anche in maniera sonnolenta, allungando nei minuti finali senza bisogno di particolari fiammate. La seconda: l’Armani Jeans lituana e con un quintetto base definito ha qualche arma per tenere botta in Europa, con qualche tiro aperto in più messo dentro da Acker e Hall può puntare alle Top 16 e almeno sognare i quarti. La terza notizia: la città, intesa come Milano e non come Assago, ha risposto freddamente a quella che comunque la si voglia vedere (a meno che a sorpresa si presentino i Lakers) era la partita casalinga dell’anno. Meno di tremila spettatori al nostro occhio, 1.500 secondo il sito dell’Eurolega: i dati non sono in contraddizione, per i soliti motivi italiani. In tribuna un Giorgio Armani nerissimo, già deluso dal Palalido mezzo vuoto contro Ferrara e dal numero di abbonati da A Dilettanti. Si dice che stia riflettendo su tutta l’operazione basket a Milano: non sull’aspetto finanziario, il basket ad ogni livello in Europa è strutturalmente in perdita (e dieci milioni all’anno per lui sono poca cosa), ma su quello di immagine. Può essere accettabile giocare per il secondo posto in Italia e per stare nella classe media in Eurolega, mentre è meno accettabile essere ignorato in una città in cui anche gli spettatori del calcio sono in enorme diminuzione. Va detto che con la sua esperienza di marketing poteva fare anche lui di più: essendo fra i principali inserzionisti di giornali e televisioni ed essendo la maggior parte degli articoli scritti su commissione, qualche notizia sul basket (non diciamo nemmeno sull’Armani) avrebbe potuto sollecitarla. Poi gente che paga tranquillamente 30 euro per pizza e coca trova esagerato un prezzo inferiore per il basket, ma è un discorso che porta troppo lontano e che in fondo ci intristisce. Se il Palalido, costruito nel 1960, è visto come il massimo futuro possibile (con capienza portata a 5mila posti, progetto dell’ingegner Pierluigi Marzorati: non un omonimo) anche in prospettiva, significa che è il basket ad avere suoi limiti strutturali. Chi entra in questo mondo, anche animato dalle migliori intenzioni, dovrebbe saperlo.
stefano@indiscreto.it

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