L’ispirazione di Esposito

12 Maggio 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal bagno Pedocin di Trieste dove il muro che separa, ancora oggi, uomini e donne è diventato meraviglioso documentario. Ci voleva un greco sposato a una triestina per raccontarci questa storia. Nel basket il muro che divide è molto meno romantico, terra di frontiera per gente che davvero farebbe fatica a capire le giornate come quella dei Maturi baskettari al manicomio veneziano e poi alla Misericordia (ma per loro vale il canto reyerino ‘Per i miseri implora pietà’), della Treviso che fu, della grande Udine radunata nella sala del castello al Parlamento di Udine dal Micalich per cui fai volentieri una levataccia avendo la fortuna di avere una badante con la stessa passione. Tutte feste pagane in mezzo alla sacralità del play-off.

Fuori due in sole tre partite. Previsto? Sì per Pistoia che è arrivata sfinita dopo una stagione bellissima. Nove alla società, dieci ad Esposito, sette agli stranieri, sette al gruppo che deve ispirarsi a gente come Filloy per ripetere almeno una meraviglia come questa. No, per Sassari pensavamo un finale diverso, magari la resa contro chi ha lavorato molto meglio di loro dopo la finale scudetto dell’anno scorso, ma dopo 5 partite. Per capire tutto prima del canto delle nostre erinni bastava vedere le facce di certi giocatori, di chi li ha portati a Sassari, di chi li ha perdonati quando ha sacrificato il Sacchetti che aveva combattuto tutte le battaglie dell’emancipazione nell’Alamo dove Sardara non avrebbe mai dovuto far entrare chi ancora dubitava che ci fosse un tipo di basket, corri e spara, da proporre ad ogni livello. Certo con la fame sei meno critico, quando arriva il successo sul carro arrivano in tanti, persino certi procuratori, troppe cose cambiano e abbiamo visto che oltre alla delusione ci hanno lasciato il fegato due uomini che non meritavano di soffrire così: Sacchetti perché era al centro del progetto, Calvani perché in questo basket aveva già pagato a Roma il tributo alla poca riconoscenza che sembra la religione dei nuovi mandarini al comando del triciclo. Non bocciamo Pasquini perché almeno ci ha messo la faccia. La squadra sbagliata l’aveva fatta anche lui. Alla fine tradimenti a catena, ma non tutto dovrebbe essere buttato via con l’acqua sporca di questi quarti di finale.

Passano e si riposano le uniche due che sembrano davvero poter impensierire Milano. Avellino è qualcosa in divenire, non convince come in gara tre a Pistoia, ma ha molte armi e tanta fame, anche se nella finale di coppa Italia fu soffiata via dall’Emporio dalle cento chele. Reggio Emilia ispirata come in garatre sembra pronta per il grande assalto, ma soltanto Sassari poteva non farle pagare la debolezza che si crea quando va in campo mastro Lavrinovic, due giri in ritardo ogni azione, quando Kaukenas fa fatica a recuperare in 48 ore.

Chiusura per gente più attenta di quella che fa i bollettini prima delle partite. Hanno sempre dato Trento al completo e invece manca, e manca tanto, Baldi Rossi, uno che se avesse finito come ha iniziato poteva pure interessare a Messina.

Nota per nostalgici. A Varese il figlio dell’ex presidente Tedeschi, Dodo Rusconi (responsabile tecnico, accidenti ma doveva rispuntare con i ragazzini uno che meritava grandi squadre?), Aldo Ossola, Massimo Lucarelli, Maurizio Gualco hanno rimesso al mondo una Ignis. Questa sarà la Nuova IGNIS 1960 e si dedicherà (Per ora? Speriamo soltanto per ora) ai nati fra il 2004 e il 2006 e li farà correre nell’arena del primo scudetto varesino alla palestra dei pompieri. Grandi. Grandissimi, speriamo che in altre città, dove impera il grufolismo del nuovi cantori e cantanti a pagamento, nascano altre iniziative del genere.

Bel voto all’ultimo numero di Basket magazine dove almeno si legge, dove c’è dialogo e non l’ordine di applaudire a prescindere come fanno nelle cronache di oggi: se i nostri play-off sono così straordinari allora c’è da credere che le finali di Eurolega a Berlino saranno almeno allo stesso livello. Certo le nostre non ci sono, ma soltanto perché si preparano per domani. Domani quando? Boh.

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