Lavorare gratis per Cairo

10 Dicembre 2019 di Stefano Olivari

Nel micromondo dell’editoria sta facendo molto discutere il post di Barbara D’Amico su Facebook, in cui la giornalista spiega perché non può andare avanti a scrivere per il Corriere della Sera articoli di economia pagati 15 euro lordi l’uno. Invitiamo a leggerlo in originale, non per rendersi conto dei metodi di Urbano Cairo (ci sono anche editori che pagano meno di lui, o addirittura niente), ma per una lezione di logica che può essere applicata a molti lavori.

Il post di Barbara D’Amico ci è piaciuto perché non è il solito lamento del genere ‘Come siamo pagati poco’, che di solito attira gli sfottò del professore liberista (con il posto fisso) che invita a ‘migliorare le proprie skill’ quando non direttamente ad emigrare. La giornalista (e noi come lei) anzi accetta pienamente la logica dei Cairo: fate un’offerta e per bassa che sia se la accettiamo poi scriveremo l’articolo con il massimo dell’impegno. Insomma, 15 euro possono essere ‘giusti’ tanto quanto 150, se domanda ed offerta si incontrano in maniera trasparente.

Il primo punto è che il compenso di solito, non soltanto dalla RCS, viene decurtato in maniera unilaterale e mesi dopo la pubblicazione dell’articolo. È normale, almeno in Italia, essere pagati 4 o 5 mesi dopo la pubblicazione, quando va bene, quindi in questo intervallo può accadere di tutto (ci sono stati giornali durati meno di 4 mesi). Il secondo, e secondo noi più importante, punto è che non è per un editore obbligatorio avvalersi di collaboratori. In sostanza, se non c’è il mitico budget basta dirlo e chi vuole scrivere sa già in anticipo che scriverà gratis o quasi. Non è una bella cosa, ma almeno accetterà liberamente di farsi sfruttare.

Certo scrivere o apparire in televisione è spesso un secondo lavoro, o comunque qualcosa che tanta gente è disposta a fare a qualsiasi condizione. Ma la proletarizzazione della piccola e media borghesia è evidente quasi dappertutto, anche per lavori che nessuno ha sognato da bambino di fare. Ci vorrebbero insomma più persone che dicessero di no. Se mi paghi poco ritieni che io valga poco, è un tuo diritto: ma io faccio altro, nella peggiore delle ipotesi scrivo sul mio blog e Google Adsense potrebbe pagarmi più di te.

È anche un atteggiamento liberatorio, che negli ultimi anni ci ha nel nostro piccolo consentito di debellare tanti inviti a sprecare il nostro tempo con il trucco del da cosa nasce cosa, eccetera. Fatevi pagare, e se nessuno vuole pagarvi cambiate mestiere. Ma gratis non si deve fare niente.

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