Boniperti quando non contava solo vincere

7 Luglio 2018 di Stefano Olivari

Non conta solo vincere. Nemmeno i giornalisti alle vongole possono sostenere che Rahn abbia lasciato più tracce di Puskas o che Horry meriti nella storia un NBA un posto superiore a Barkley e Karl Malone, anche se certi elogi al catenaccio del Belgio permettono di rivalutare il 3-5-1-1 di Mazzone o il Barletta di Rumignani. I novant’anni di Giampiero Boniperti meritano quindi gli auguri e un ricordo ovviamente mondiale, visto il periodo, perché anche se è facile ricordare il Boniperti juventino (soprattutto il dirigente, per motivi di età nostra) è meno facile dare la giusta importanza al Boniperti azzurro. Che fu uno dei migliori giovani del dopoguerra e soprattutto uno dei volti della Nazionale per superare la tragedia di Superga ed affrontare il primo Mondiale dopo la guerra. Che avevamo perso rovinosamente, va ricordato, oltretutto da gregari sfigati. La spedizione dell’Italia in Brasile, nel 1950, avvenne proprio in quel clima da ricostruzione post-bellica e nel ricordo del Torino annientato l’anno prima da quello schianto, al punto che contro ogni legge statistica il viaggio fu effettuato addirittura in nave.

Un passo indietro. Boniperti era un ventiduenne già nel giro della Nazionale, ma ancora in primavera il suo viaggio in Brasile sembrava tutt’altro che certo nonostante già avesse giocato 6 volte nella selezione maggiore e fosse fresco del primo scudetto con la Juventus nell’ottima squadra allenata da Jesse Carver, dove giocavano John Hansen e Parola, oltre ad Alberto Piccinini (il padre del futuro telecronista di Mediaset Sandro, che forse chiuderà la carriera con la finale di Russia 2018). Boniperti venne convocato per la partita dell’11 maggio a San Siro fra le nazionali B di Italia e Inghilterra, di cui nostro padre fu spettatore: la squadra azzurra travolse gli inglesi 5 a 0, trascinata da una doppietta e da altre grandi giocate proprio del ventiduenne juventino. Per onestà va detto che scorrendo i nomi si nota come l’Italia fosse una squadra A con qualche assenza mentre l’Inghilterra era quasi un’Inghilterra C. Ma questo non toglie il fatto che nell’occasione Boniperti si guadagnò definitivamente il biglietto per il Brasile. 11 giorni dopo la FIGC comunicò i convocati per la Coppa del Mondo ed il nome di Boniperti apparve tra i 22 in una squadra dove a dominare erano gli juventini (4, c’erano anche Bertuccelli, Parola e Muccinelli) e gli interisti (5, fra i quali anche Benito Lorenzi che quarant’anni dopo ci avrebbe concesso un’intervista su quel Mondiale vissuta da spettatore).

Raduno a Livorno il 23 maggio, vaccinazioni e controllo dei documenti in vista della partenza prevista da Napoli il 3 giugno. Dopo la fine dell’era Pozzo, esonero folle in un’Italia in cui il 90% dei fascisti era diventato antifascista, la federazione non aveva una figura così autorevole da mettere a capo della spedizione e si era tornati alle famigerate commissioni: quella per il Mondiale era guidata da Ferruccio Novo, cioè il presidente del Torino (scampato a Superga, non essendo sull’aereo), con il giornalista Aldo Bardelli (ma era stato anche ottimo allenatore al Livorno), Roberto Copernico, direttore tecnico del Torino, e il dirigente della Roma Vincenzo Biancone. Situazione inimmaginabile oggi, ma confusa anche per quei tempi in cui la figura dell’allenatore aveva confini meno netti e non era legata a un patentino.

Dopo un incontro con Giulio Andreotti, trentunenne deputato e sottosegretario alla presidenza del Consiglio quando presidente del Consiglio era De Gasperi, qualche commento sul girone che da quattro era diventato a tre (l’India aveva rinunciato, erano rimaste Svezia e Paraguay) e finalmente la partenza sulla motonave Sises con destinazione Santos. Celeberrimi i racconti di quella traversata, durata 15 giorni: gli allenamenti impossibili (in pratica solo una partitella durante la sosta a Las Palmas), il vomito, i palloni finiti in mare, le interazioni (diciamo così) con altri passeggeri e passeggere. Insomma, non il modo migliore di preparare un Mondiale ma comunque l’Italia arrivò a San Paolo una settimana prima dell’esordio contro la Svezia, in programma il 25 giugno. Allenamenti sul campo del Palmeiras e Boniperti in evidenza sempre, in partite all’ultimo sangue fra presunti titolari e presunte riserve.

Contro la fortissima squadra svedese dell’epoca l’Italia disputò un’ottima partita, che ovviamente non abbiamo visto (le immagini sopravvissute sono pessime) ma di cui abbiamo letto tanto e che ci sarebbe stata raccontata da un brillantissimo Lorenzi. In vantaggio al 7’ con Carapellese, dopo qualche minuto l’Italia andò vicina al raddoppio proprio con Boniperti dopo una grande azione Muccinelli-Cappello. Poi i nostri avversari si accesero, pareggiando con Jeppson (non ancora arrivato all’Atalanta) e andando in vantaggio con Andersson. L’Italia non si perse d’animno e al 5’ del secondo tempo Boniperti si inventò una strepitosa azione personale, regalando un assist a Carapellese che a porta vuota si mangiò il 2-2. Nel momento migliore dell’Italia arrivò l’1-3 ancora di Jeppson, ma quella giovane e disorganizzata Nazionale ebbe comunque una reazione d’orgoglio andando a segno con Muccinelli e portando un assalto finale in cui Boniperti sfiorò il gol del pareggio due volte, per non parlare dell’ultimissima azione, una specie di uno contro tutti di Carapellese che solo davanti al portiere tirò sulla traversa. Sul rimbalzo Muccinelli non riuscì a segnare, quando tutti stavano già esultando.

Il Mondiale dell’Italia e il primo Mondiale di Boniperti, che sarebbe stato anche in Svizzera 4 anni dopo, finirono lì, perché la Svezia pareggiò poi con il Paraguay rendendo un’amichevole Italia-Paraguay (vittoria azzurra 2-0), visto che al girone finale si qualificavano solo le prime. Curiosamente quasi tutti componenti della comitiva azzurra, Boniperti compreso, tornarono in Italia in aereo. Nessuna paura. Non eravamo più campioni del Mondo, ma dopo Superga eravamo ripartiti. Grazie anche a Boniperti. E valeva più di una vittoria.

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