Il DNA mondiale della Germania

26 Giugno 2018 di Stefano Olivari

Le rimonte ci piacciono, siamo fatti così e per essere felici ci accontentiamo di poco. Che Mondiale sarebbe senza una Germania che riesce a ribaltare una situazione disperata? La punizione di Toni Kroos al quinto minuto di recupero contro la Svezia ha salvato i tedeschi da un’eliminazione probabilissima, oltre che meritata, ed è arrivata al termine di un secondo tempo alla tedesca, con scarsa ispirazione ma tanta voglia di perforare il blindatissimo 4-4-2 di Janne Anderssson che con una squadraccia ha buttato fuori dal torneo Olanda e Italia. Di certo l’attuale Germania non è nemmeno parente di quella che quattro anni fa ha il Mondiale l’ha vinto, pur essendo a livello di nomi mezza squadra la stessa ed essendo Löw sempre uguale a se stesso (anche nelle posture da architetto-avvocato-medico colpevole nelle puntate di Derrick). E si è salvata anche grazie alla fortuna, alle parate del ritrovato Neuer (almeno due clamorose) e uno strano errore di Marciniak, che sullo 0-0 non ha concesso un evidente rigore su Berg (dormiva anche il VAR). Quando non si sa spiegare un fenomeno si tira in ballo il DNA, come se Neuer fosse in qualche modo ispirato da Maier, Kroos da Netzer, Müller da Rummenigge, Gomez da Seeler: stupidaggini, forse, ma nel calcio identitario delle nazionali sono un po’ meno stupidaggini che in quello mercenario dei club anche se la Germania di Karlheinz Förster era diversa da quella di Boateng e Ozil.

La rimonta contro la Svezia sarà in prospettiva storica ricordata in base a quanta strada la squadra tedesca farà in questo Mondiale, ma come dinamica non è tanto diversa da altre grandi imprese nella manifestazione. La più grande di tutte nella finale del 1954 a Berna, quella del miracolo: sotto di due gol contro la grande Ungheria di Puskas (azzoppato da Liebrich nel girone e rientrante al 50%) e Hidegkuti, rimonta con Morlock più doppietta di Rahn sotto la pioggia che esaltò i nuovi tacchetti ideati da Adolf Dassler (il fondatore dell’Adidas), grande amico di Herberger. In un ideale podio metteremmo anche la semifinale del 1982 a Siviglia contro la Francia di Platini, sotto di 3-1 ai supplementari (di Rummenigge e Fischer i gol della rimonta) e poi vittoria ai rigori dopo il 3-3, e il quarto di finale del 1970 a Leon contro l’Inghilterra campione del mondo, che sul 2-0 si illuse di avere chiuso la partita ma poi vide i gol di Beckenbauer, Seeler e nei supplementari di Gerd Müller.

Teniamo fuori altre pietre miliari delle rimonte mondiali come la finale 1974, con l’Olanda però avanti solo di un gol e la rimonta perfezionata già nel primo tempo dal rigore di Breitner e da Gerd Müller, una partita dimenticata ma bellissima come quella con la Svezia nel girone di semifinale sempre nel 1974 (scandinavi in vantaggio, poi 2-2 dopo i gol di Overath e Bonhof, infine 4-2 sotto i colpi di Grabowski e Hoeness), gli ottavi del 1998 contro il Messico (Klinsmann e Bierhoff) e quelli del 2006 contro l’Argentina (Klose). Non contiamo le imprese sfiorate, su tutte la semifinale del 1970 contro gli azzurri di Valcareggi con il famoso gol di Schnellinger e la finale del 1986 con l’Argentina (2-2 raggiunto da Rummenigge e Völler, prima della stoccata di Burruchaga lanciato da Maradona), senza dimenticare il 2-2 acciuffato da Weber nel 1966 a Wembley in uno dei gol meglio disegnati nel mitologico ‘Manuale del gol’ di Vezio Melegari, primo libro della nostra vita. Fino al 1990 bisogna doverosamente scrivere Ovest a fianco di Germania, ma ci siamo capiti. Insomma, nessuna grande nazionale, nemmeno quelle con più titoli mondiali come Brasile e Italia (va be’, contando l’Ovest sono quattro come i nostri), ha avuto questa capacità di reagire alle situazioni negative che ha invece sempre avuto la Germania con squadre di generazioni e livello tecnico molto differenti. Non lo vogliamo chiamare DNA? Allora troviamo un’altra parola. Dal miracolo di Berna a quello di Sochi, è sempre Germania. Calcisticamente da ammirare, ricordando però sempre che siamo italiani e che il loro euro ci ha fatto più male di quanto abbia fatto male a loro l’urlo di Tardelli.

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