Agnelli segreti, la storia d’Italia mai raccontata

22 Febbraio 2015 di Stefano Olivari

Gli Agnelli sono stati la vera famiglia regnante del Novecento italiano, con buona pace dei Savoia e della Repubblica, ma raramente nel nostro paese si è scritto di loro con schemi diversi da quelli dell’agiografia lecchina. Del resto il mito piccolo borghese dell’Avvocato era troppo evidente per essere ignorato da giornalisti in fondo alla caccia soltanto di una battuta da titolo, se non di una FIAT in comodato d’uso.

Di qui milioni di articoli e servizi su Ferrari, Juventus, nuovi straordinari modelli di auto, quadri, tendenze della moda, eccetera, e un po’ meno sull’onnipresenza di Agnelli nel mondo finanziario e politico. In altre parole, per decenni invece di parlare del principale gruppo finanziario italiano e della principale industria si è trovato più facile parlare della figura di Gianni Agnelli.

Gigi Moncalvo nel suo Agnelli segreti, uscito nel 2012 per Vallecchi e omaggiato di poche recensioni (leggendolo si capisce anche il perché), prova ad andare oltre i simboli esteriori del potere o le storie da copertina, per condurci attraverso una grande inchiesta nei meandri del potere vero. Quello che non viene mai fotografato allo stadio, in barca, alle mostre.

Il libro è apparentemente una storia della famiglia, con qualche incursione nel gossip pesante (gli amori lesbici di Susanna Agnelli, i veri compiti di Montezemolo, eccetera), ma in realtà pur essendo abbastanza lungo (più di 500 pagine) compie scelte molto precise mettendo fatti e personaggi collaterali al servizio delle storie principali. Che sono fondamentalmente quattro.

La prima è quella della relazione fra Virginia Agnelli, fresca vedova di Edoardo e madre di Gianni, Susanna, Umberto, eccetera, con Curzio Malaparte. I dettagli da cronaca rosa sono incredibilmente messi in fila dall’OVRA, la polizia segreta fascista, che appare quasi al servizio di Giovanni Agnelli. Cioè il fondatore, il rigidissimo e sabaudo (ma all’occorrenza levantino) Senatore.

Con funzionari pubblici che pedinano Virginia allo scopo di trovare particolari e prove che consentano di toglierle l’affidamento dei figli (a beneficio del nonno, chiaramente). Si arriva al paradosso di Virginia che chiede a Mussolini di essere difesa dal suocero di lei e dalla polizia di lui… Malaparte non è certo un comprimario, ma un ex direttore della Stampa agnelliana che ha vissuto diverse fasi del fascismo e che si atteggia a suo oppositore più per posa intellettuale che per istinto democratico. E la sua storia con Virginia, ma soprattutto il modo in cui viene osteggiata, dice molto del potere FIAT nell’Italia fascista, nonostante il Senatore a Torino provi a smarcarsi perché nella vita non si sa mai.

La seconda macrostoria all’interno del libro è quella riguardante Gianni Agnelli, il nipote del senatore, non dal lato del cazzeggio mondano ma da quello della presa del potere nei confronti di fratelli e altri parenti, per precisa volontà del nonno. Impressionante è la valutazione del gruppo FIAT subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, pur con tutte le cautele del caso: circa 64 miliardi di euro, ai valori attuali. La costruzione di ‘Agnelli’ passa attraverso vent’anni di mondanità ma anche di rapporti internazionali coltivati ai massimi livelli fra una donna e l’altra (Pamela Churchill, nuora di Winston, e Anita Ekberg su tutte le altre, per motivi diversi), mentre la FIAT veniva mandata avanti con intelligenza, ma anche con metodi oltre l’autoritarismo, dal professor Valletta fino ai 45 anni dell’Avvocato.

La vicenda forse più appassionante è quella di Edoardo Agnelli, della sua infelice vita (a 40 anni e passa era di fatto sotto tutela, controllato anche nella quotidianità minima) e della sua stranissima morte avvenuta nel 2000, a 46 anni, seguita da un’inchiesta imbarazzante per le lacune della magistratura e i tentativi di insabbiamento di parte della famiglia o forse di qualcuno che in quei frangenti già controllava la famiglia.

Una storia che ha avuto un’appendice dopo la morte di Gianni Agnelli, con tanto di tentativi della sorella di Edoardo (Margherita, madre fra gli altri di John e Lapo Elkann) per conoscere la verità. Impressionante in generale, non tanto in relazione alla storia di Edoardo, la freddezza di Marella, la madre, in contrapposizione al crollo anche fisico dell’Avvocato. Ben raccontato è il modo astuto in cui possibili successori di Gianni Agnelli venivano dati in pasto ai media, da Giovanni (figlio di Umberto e fratello dell’attuale presidente della Juventus) allo stesso John Elkann, ritenuto più plasmabile dell’idealista Edoardo e ovviamente anche dell’estroso Lapo.

La quarta storia, che avvolge tutte le altre, è vero giornalismo investigativo e riguarda il reale controllo del gruppo dagli anni Novanta ai giorni nostri. Attraverso la costituzione di società più o meno schermate, in Italia e in Lichtenstein, Agnelli voleva occultare gran parte del suo patrimonio, ‘allontanare’ la sua figura dalla realtà operativa delle società italiane (si era in piena Tangentopoli, si era quasi arrivati a Romiti…), ma soprattutto assicurare al gruppo una unitarietà di gestione che il diritto di famiglia dopo la sua morte non avrebbe permesso: Edoardo era ancora vivo e desideroso di occuparsi degli affari della sua famiglia.

Attraverso documenti riservati e pubblici Moncalvo dimostra che di fatto il controllo del gruppo ad un certo punto è stato nelle mani di due avvocati (uno svizzero, René Merkt, e uno del Liechtenstein, Herbert Batliner), ma che nell’ultimo ventennio è stato sostanzialmente di Gianluigi Gabetti (ora 91enne) e di Franzo Grande Stevens (ora 87 anni), cioè due fra i più stretti collaboratori di Agnelli. Con il rapporto di sudditanza che ad un certo punto si è ribaltato, grazie a statuti societari con articoli ai confini della realtà, sottoscritti con superficialità dall’Avvocato. In copertina ci vanno Briatore e al limite Berlusconi, ci sono quasi funerali di Stato per Michele Ferrero, ma non è sbagliato dire che l’uomo più potente d’Italia negli ultimi decenni sia stato e tuttora sia Gabetti.

Un lettura appassionante, per chi fosse interessato a capire chi ha comandato e comanda in Italia al di là dei segni esteriori del potere. Fra questi segni anche la Juventus, finita nel 2006 in una guerra molto più grande di lei e dell’intero calcio italiano e da qualche anno tornata ai massimi livelli sotto la gestione della parte ‘perdente’ del gruppo, una sorta di premio di consolazione pronto comunque ad essere cancellato in presenza di certe situazioni. Un libro di giornalismo investigativo, quello di Moncalvo (una ottima carriera nei giornali e anche in televisione, molti ragazzi anni Ottanta lo ricordano come volto dell’informazione di Canale 5 prima dell’arrivo di Mentana), che in molti capitoli restituisce dinamiche umane terribili ma anche commoventi, ben lontane dai servizi di Capital e dalle interviste in ginocchio di tante prime firme. Inutile sottolineare che i giornalisti escono a pezzi da molte situazioni, per il modo in cui i loro servizi vengono concordati con l’ufficio stampa FIAT, ma non mancano neppure esempi di grande valore.

Non si possono scrivere biografie senza essere appassionati al soggetto, quindi anche questo libro in fondo (ma proprio in fondo) contribuisce al mito di Agnelli. Ma lo fa con un’inchiesta vera, che mette in luce tutte le contraddizioni del personaggio: un patriottismo poco retorico insieme a un cosmopolitismo cinico, la coscienza dell’importanza sociale della FIAT insieme all’evasione fiscale, le follie da jet set e i bei gesti sconosciuti ai più, la noia mortale per qualsiasi argomento e allo stesso tempo la curiosità vampiresca. C’è ancora tanto da scrivere sugli Agnelli, il tempo non mancherà. Sarebbe adesso più urgente, non soltanto per i mitici ‘mercati’, rispondere alla domanda: chi c’è dietro a John Elkann?

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