Bravi e disumani

29 Gennaio 2012 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Dopo sei ore giocate a un livello disumano, non solo atletico ma anche mentale, Novak Djokovic si è confermato il numero uno del mondo in uno sport dove l’arbitro conta poco ma conta invece molto quello che si fa in preparazione delle partite. Il rimbalzo di Melbourne, il più lento del mondo extra terra battura ma con traiettorie più basse e ovviamente meno irregolari di quelle del Roland Garros, sembra fatto apposta per maratone come quelle viste in finale e nella semifinale fra il campione e Murray.
Se a questo poi si aggiungono due fenomeni nel pieno della loro maturità psicofisica, il prevalere è questione di dettagli o di colpi che si ricordano per una vita: come il passante di rovescio a campo apertoche avrebbe portato Nadal sul 40-15 e 4 a 2 del terzo set. Finché entrambi sono stati freschi, cioé nei primi tre set, la superiorità del serbo è sembrata… superiore a quanto dicesse il punteggio, con un Nadal costretto a miracoli sulle diagonali solo per rimanere attaccato allo scambio. Poi l’entrata nella dimensione gladiatoria ha fatto girare il match in favore dello spagnolo, con Djokovic che a un certo punto addirittura barcollava giocando come se fosse infortunato: cioè sparando dalla piazzola invece che accettare il braccio di ferro. L’unico vero errore di Nadal lo ha rimesso in partita e poi è finita nel modo più coerente con i valori attuali del tennis, lasciando una scia di record battuti: alcuni interessanti (finale più lunga nella storia dello Slam, 5 ore e 53 minuti, partita più lunga mai vista all’Australian Open superando il drammatico Nadal-Verdasco di 3 anni fa), altri meno (Nadal unico nella storia a perdere tre finali di tornei dello Slam di fila: ma bisogna arrivarci…).
Senza fare la cronaca di una partita che tutti gli interessati hanno visto, si esce da questa maratona con la sensazione che i rapporti di forza fra i Big Three si siano cristallizzati (Nole più forte di Rafa che è più forte di Roger, il quale a sua volta anche perdendo riesce a mettere in soggezione il serbo ma non il maiorchino) e che Murray, con bicipiti più definiti che mai, abbia ormai la testa giusta per vincere un torneo come questi: di grandi occasioni sprecate, prima di dominare, il suo neo-guru Lendl se ne intende. Oltre a capire lo scozzese sul piano umano, essendo entrambi figli di giocatrici di medio livello che ai loro figli futuri campioni hanno messo una certa pressione. Concludendo: il tennis maschile non è mai stato così vivo, anche se in certi momenti della finale non è sembrato tennis.


Twitter @StefanoOlivari

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