Michel et Zibi, campioni con il cervello

6 Dicembre 2020 di Stefano Olivari

Platini e Boniek, due campioni con una personalità pazzesca nell’irripetibile, anche a volerlo ripetere,, calcio italiano degli anni Ottanta. Fra di loro nei tre anni di Juventus vissuti insieme nacque un’amicizia autentica, cosa rara fra calciatori di quel livello visto che il campione di solito si trova più a suo agio con cortigiani, e nessuno come Maradona lo ha dimostrato, che con pari grado. La storia del loro mondo, e anche del nostro, è raccontata magistralmente da Enzo D’Orsi nel suo Michel et Zibi – Gli amici geniali, il libro appena uscito per Edizioni inContropiede e letto avidamente non soltanto nel nome di una quarantennale passione per Platini ma perché eravamo sicuri che l’autore ci avrebbe fatto rivivere da dentro quegli anni.

E così è stato, visto che D’Orsi nelle stagioni di Platini e Boniek, e in tantissime altre, è stato l’inviato del Corriere dello Sport al seguito della Juventus. Quando i giornalisti, non solo quelli bravi come lui, riuscivano a costruire con gli addetti ai lavori un rapporto di confidenza che non sempre si traduceva in scoop, ma sempre permetteva di evitare cantonate. Non parlando con i protagonisti delle vicende può capitare si scrivere, fino al giorno dell’esonero, che Agnelli e Sarri progettano un lungo ciclo insieme: del resto, se si hanno le stesse fonti del pubblico che sta a casa…

Certo è che in quella Juventus fortissima, piena di freschi campioni del mondo, Platini e Boniek furono accolti quasi come estranei, rispettati in quanto scelte personali (soprattutto Platini, ma anche Boniek poi scaricato a colpi di ‘Bello di notte’) di Agnelli ma non amatissimi dai compagni. E ammirati soltanto dopo il disastro emotivo, al di là del risultato che in fondo era uno 0-1, di Atene contro l’Amburgo. Che fu la sconfitta soprattutto del nucleo storico, dei campioni del mondo, e di Trapattoni più che la loro. Che infatti si ripresero subito, travolgendo la Roma scudettata in una Coppa Italia che poi avrebbero vinto.

Per raccontare quello spogliatoio memorabile D’Orsi in molti capitoli usa la formula del dialogo fra Platini e Boniek, in una ricostruzione certo non immaginaria ma fondata sulle confidenze che i due hanno continuato a fargli anche una volta usciti dal campo, entrando a far parte della ristretta cerchia di calciatori con una grande carriera come dirigenti e non solo come tagliatori di nastri nel ricordo dei bei tempi andati. Al di là dei tanti dettagli che colpiscono anche chi come noi pensa di sapere tutto di Platini e Boniek, del racconto ci ha colpito l’amarezza di fondo di due campioni che si sono ritirati giovani, entrambi a 32 anni, senza farsi rottamare da altri, abbandonando presto le velleità da allenatori (anche se Platini va rivalutato), e che hanno poi provato a cambiare il sistema da dentro, in parte riuscendoci anche se con stili diversi: Platini puntando al massimo ed andandosi a schiantare contro il trappolone di Infantino, altro che Blatter, Boniek da profeta in patria come presidente della federazione polacca. Hanno ancora qualcosa da dare, li aspettiamo.

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