Al ristorante con Giagnoni (Franco Rossi raccontato da Enzo D’Orsi)

25 Gennaio 2019 di Indiscreto

L’ho conosciuto nel 1975 quando lui era un giornalista di Tuttosport già affermato e io un ragazzo di 22 anni che da Perugia collaborava con Paese Sera, un ragazzo che ebbe la fortuna di scrivere di calcio proprio quando la squadra di Castagner conquistò una storica promozione in serie A. Con quel Perugia si può dire che Franco riscoprì le sue radici umbre, visto che il padre era di Tavernelle: si appassionò a quella realtà emergente e iniziò a telefonare a giornalisti locali, come me e Mario Mariano, per avere informazioni di prima mano anche sui giocatori meno conosciuti della squadra. Fu così, al telefono, che entrai in contatto con lui. Fra l’altro la prima partita del campionato 1975-76 era Perugia-Milan, con i rossoneri allenati da Trapattoni: Franco era impegnato su un altro campo, va ricordato che le partite si giocavano tutte allo stesso orario, e mi diede quindi appuntamento per Inter-Perugia del 18 gennaio seguente.

Arrivo in treno a Milano il venerdì pomeriggio e subito lo chiamo. “Vieni alla redazione di Tuttosport – mi dice -, in via Fatebenefratelli vicino alla Questura. Poi andiamo a cena insieme”. Per me, che vengo dalla provincia, un sogno che diventa realtà: entro nella redazione di Tuttosport con Franco che mi presenta il capo, Giampiero Ginepro, che ricordo come un signore austero, poi Saverio Tierri, Franco Zuccalà e Gino Bacci. Il Tuttosport dell’epoca è quasi un giornale di avanguardia, pieno di trovate geniali: direttore è Gianpaolo Ormezzano, che si inventa titoli come ‘Primo giorno senza titoli a nove colonne’ e cose del genere. C’è addirittura una terza pagina di racconti e poesie, dove scrivono Ormezzano stesso, Vladimiro Caminiti e anche Franco, con racconti di calcio e vita. Un giornale oggi inimmaginabile, ma molto particolare anche per l’epoca, che colpisce la fantasia di qualunque ragazzo sogni il giornalismo sportivo.

Dopo le presentazioni Franco taglia corto: “Ti porto a Su Nuraghe”. Come dice il nome, è un ristorante sardo ma soprattutto è un po’ il suo regno: un posto di incontri, dove si mescolano addetti ai lavori, giornalisti, persone dalla professione vaga che vivono ai margini del calcio, semplici tifosi. Una corte dei miracoli, con Franco che ovviamente è il re… Rimango molto colpito, proprio perché venendo dalla provincia certi personaggi li avevo visti solo in televisione, di notare a un tavolo, troneggiante, Gustavo Giagnoni. Giagnoni! Con Franco che addirittura me lo presenta… Prima di Inter-Perugia, in tribuna stampa, Franco mi presenta anche ad alcuni grossi nomi della stampa milanese: Mottana, Crespi, Gazzaniga… Finisce 2-2, con il pareggio di Scarpa contro un’Inter rimasta in dieci, Novellino fa una partita strepitosa e il giorno dopo il giornale titola il mio pezzo ‘Il Samba di Novellino’. Insomma, scrivo positivamente della prova del Perugia ma Franco, che in quel periodo ha in simpatia l’Inter, mi gela: “Il Perugia dovrebbe essere arrabbiato, contro questa Inter un punto perso”. Il primo di migliaia di giudizi lapidari che mi ha regalato nel corso degli anni: su molti non ero d’accordo, ma tutti facevano capire che Franco non solo conosceva il calcio, ma lo ‘sentiva’, come chi ha talento musicale sente la musica.

Torniamo a quel campionato 1975-76. Prima giornata di ritorno, Milan-Perugia a San Siro. Sono di nuovo a Milano e questa volta Franco mi fa conoscere Brera, che mi saluta con il suo famoso gesto, toccandosi il cappello… La partita finisce 0-0, con Agroppi che ha un’occasione enorme ma tira addosso ad Albertosi. Al di là della nostalgia per i tempi andati, sono anni di calcio modesto, i Settanta, con la Juventus che domina giocando male e fa notizia soltanto le rare volte in cui perde, confidando troppo nella sua forza in campo, visto che schiera quasi tutta la Nazionale, e fuori dal campo. Ultima partita del torneo, Perugia-Juventus, i bianconeri devono vincere per sperare almeno nello spareggio con il Torino. Ci sono sulla squadra pressioni incredibili, si muove addirittura il PCI umbro, su ispirazione di quello torinese. Di Castagner sono amico e me lo dice chiaramente: il Perugia giocherà una partita normale, non lascerà passare la Juve ma nemmeno avrà la bava alla bocca. Tutto questo per inquadrare il tipo di calcio in cui ho conosciuto Franco: una serie A brutta a ogni livello, con ritmi molto più lenti rispetto agli altri grandi campionati d’Europa, dove però fare giornalismo in maniera fantasiosa e pungente è per certi versi più facile. I personaggi sono tanti e più facilmente raggiungibili, senza filtri.

Nel 1979 mi trasferisco a Torino per il Corriere dello Sport, seguo sia la Juventus sia il Torino e tante volte mi ritrovo in trasferta o al Comunale insieme a Franco. Per Martin Vazquez tira fuori una definizione che avrebbe riciclato per altri: “Un grande campione, ma nel calcio femminile”. Lui davvero il calcio lo sentiva, caratteristica che lo accomunava a un altro grande come Ezio De Cesari, per me il miglior giornalista della storia del Corriere dello Sport. Non a caso grande amico di Franco, con il quale discuteva anche molto di cavalli, fedele a un’idea di giornalismo popolare e popolaresco che cercava di conquistare il lettore. Segno di intelligenza e di umiltà.

La sua passione per la Sampdoria di Mantovani è cosa nota e nasce soprattutto dall’amicizia di Franco con Mantovani stesso e con Mancini. La storia del Cerchio Blu è però tutta da raccontare, perché dice molto sul sistema mediatico dell’epoca e in parte anche su quello di adesso. In sostanza Mantovani era convinto di due cose. La prima: la Sampdoria era mal vista dai media italiani, un po’ perché portava meno lettori e telespettatori delle grandi tradizionali e un po’ perché le grandi erano più abituate a condizionare i giornalisti, in vari modi. La seconda: la Sampdoria non era una squadra come tutte le altre. Per farsi ricordare doveva quindi diffondere una certa idea di calcio, dal punto di vista estetico ed etico. Niente violenza, niente polemiche, lealtà in campo e fuori. Da qui nacque l’idea del Cerchio Blu: creare una lobby, usiamo una parola grossa, di giornalisti tifosi o simpatizzanti della Sampdoria. Fra i tifosi mi ricordo giornalisti come Antonio Ferrari e Francesco Cevasco, mentre fra i simpatizzanti c’eravamo fra gli altri io, Marco Ansaldo della Stampa, Franco Esposito e Franco Rossi. Alla fine tutto era molto goliardico e si riduceva a qualche cena, dove però nascevano anche delle idee. Franco era il motore del Cerchio Blu e una sera a una di queste cene invitò anche Michele Tigani, l’addetto stampa della Lega Calcio. A un certo punto dissi a Mantovani: “Presidente, ma perché non si fa anche in Italia la sfida fra vincitrice dello scudetto e vincitrice della coppa, come accade in Inghilterra e altrove?”. Era un buon periodo per le nuove iniziative, le reti Fininvest avevano fame di calcio e a Mantovani l’idea piacque, così la portò subito in Lega. Di lì a poco in Italia nacque la Supercoppa…

Di quelle cene con il Cerchio Blu ho un grande ricordo, lì fra l’altro si capivano tante cose su come girasse il calcio in Italia. All’inizio degli anni Novanta il Parma stava provando a fare la stessa strada della Sampdoria e Mantovani lo osservava con amarezza: “Per la Sampdoria vincere lo scudetto è stato molto più difficile rispetto a quanto sarebbe accaduto ad altre squadre, con gli stessi giocatori. Perché i tuoi giocatori, anche se non lo dicono, dentro di loro sognano di andare un giorno a giocare nella Juventus, nell’Inter, nel Milan. Lo stesso succederà al Parma”. Per questo non fu sorpreso, ma addolorato sì, quando capì che Vialli aveva deciso di andarsene. Grande personaggio, davvero un ricco signore che con il calcio voleva solo divertirsi. L’ho visto arrabbiato soltanto quando la Samp giocava male, non quando perdeva.

Tornando a Franco Rossi, quello che lui mi ha fatto capire è stata l’importanza di avere un punto di vista, qualsiasi fosse. “Tu devi avere un’idea – mi diceva -, e in base a quell’idea puoi fare il critico. Un’idea di calcio la devi però avere, se no sei soltanto un azzeccagarbugli noioso, che non sa in quale direzione andare”. Franco mi ha insegnato anche che le squadre sono diverse fra di loro ma tutte devono avere una logica, che può essere quella di Mazzone come quella di Sacchi. Non è detto che vincano, ma di sicuro tutte le altre, quelle che non hanno un’identità, sono destinate al fallimento. Fra i suoi miti c’erano giocatori che non colpivano a prima vista, come Clodoaldo. Maradona lo vedono tutti, ma quanti oggi parlano di Clodoaldo? Andatevi a rivedere le partite integrali del Brasile del 1970, per vedere come Clodoaldo facesse funzionare i giocatori da copertina…

Oggi il suo giornalismo sarebbe difficilmente proponibile, per l’omologazione che c’è un po’ in tutto il calcio. Tutti allineati e coperti, per paura di essere criticati. Nell’epoca in cui Franco è stato un grande c’era decisamente più libertà, adesso una battuta su un giocatore sarebbe impossibile senza scatenare i social network e subire ritorsioni. I giocatori sono aziende, ogni parola viene controllata, l’unico giornalista al quale concedere interviste è quello in ginocchio. Per quanto riguarda il calciomercato, Franco aveva le notizie vere ma anche una capacità di invenzione straordinaria. “Dimmi il primo nome di un giocatore inglese che ti viene in mente…”, mi disse un giorno a bruciapelo. Bryan Robson, gli risposi senza sforzo: in fondo era il giocatore inglese più forte del momento. Il giorno dopo su Tuttosport titolo a nove colonne: “Robson all’Inter”, con una pagina di dettagli, tutti verosimili.

Non eravamo d’accordo su tante cose, ovviamente, ma soprattutto non eravamo d’accordo su Moggi, del quale Franco aveva grande considerazione. Tralasciando i discorsi su Calciopoli e cose del genere, sul piano strettamente calcistico Moggi l’ho sempre ritenuto un orecchiante, uno bravo a trattare giocatori scoperti da altri ma non a individuarli, mentre Franco lo riteneva uno che ne sapeva e infatti spesso si confrontavano quando c’era da valutare un calciatore. In generale Franco stava bene con i giornalisti e li difendeva anche contro i potenti. Un uomo libero, che ha vissuto da uomo libero in un’epoca in cui era possibile farlo. Cosa che mi fa venire in mente, per chiudere questo ricordo, la passione sfrenata di Franco per gli aforismi. Leggeva di tutto, da Cocteau a Flaiano, anche se il suo autore preferito era Oscar Wilde. La frase che secondo me meglio lo rappresenta, forse anche perché la citava molto spesso, è di Leo Longanesi: “Non esistono giornali liberi, esistono però uomini liberi”. La sua vita.

Enzo D’Orsi ha per molti anni seguito il calcio italiano e internazionale per il Corriere dello Sport, inviato in tutto il mondo. Di Franco Rossi è stato collega, amico e concorrente.

Estratto del capitolo ‘Quelli del Cerchio Blu’ contenuto nel libro ‘A cena con Franco Rossi – Storia e Storie di un giornalista sportivo’ (editore Indiscreto), di Stefano Olivari ed Enzo Palladini. Il libro è in vendita in formato elettronico per Amazon Kindle a 6,99 euro e in versione cartacea a 14,90 euro (prezzi indicativi) presso Amazon, la Libreria Internazionale Hoepli e tutte le altre librerie, di catena (come Feltrinelli) o indipendenti, che lo abbiano ordinato al distributore in esclusiva nazionale, Distribook

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