Sotto la Saras

12 Marzo 2008 di Stefano Olivari

Traghettatore o non traghettatore, annunciando personalmente la fine della propria era Roberto Mancini è riuscito nella più facile delle sue imprese interiste: mettere a nudo la pochezza di una società e di un’ambiente che si erano illusi di avere fatto un salto di qualità. Con vari effetti collaterali. Primo: ha evitato di essere messo quotidianamente sulla graticola da Moratti nella quotidiana esternazione sotto gli uffici della Saras, come capitato a tutti, ma proprio tutti i suoi predecessori, da Ottavio Bianchi a Zaccheroni. Secondo: se Moratti non lo caccerà prima, come sta meditando di fare mentre stiamo scrivendo queste righe (si parla di un incontro questa sera), per far posto nella migliore delle ipotesi a Sinisa Mihajlovic, Mancini avrà ottenuto da quella parte di squadra che rema dalla sua parte una dedizione totale, decisiva per resistere al ritorno della Roma. E pazienza per il dirigente in pectore Figo, che per amore della maglia ha rinunciato agli Emirati Arabi, per il declinante Materazzi, il nervosetto Toldo o il presuntuoso Vieira: sei, anzi sette visti gli scontri diretti punti, su una squadra che penserà anche alla Champions League li si potranno mantenere anche con Pelé e Balotelli. Terzo: ha permesso a giornali e tivù di rimpiere spazi con le reazioni livorose dei suoi antipatizzanti, i tromboni del ‘Mancini non ha fatto la gavetta’. Da quella brava persona di Moggi, che aveva capito tutto da tempo (è pronto per Berlusconi, basta che gli tolgano qualche anno di squalifica) in su, tutti a parlare di gesto inopportuno ed a prendere le parti di Moratti dimenticando chi metteva in campo squadre orrende pur potendo contare sul miglior Ronaldo o sul miglior Vieri.

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