Milano
Sono in lista
di Stefano Olivari
Pubblicato il 2023-09-20
I 40 euro al mese che diamo a DAZN li daremmo ad Erminio Ottone per leggere la sua recensione di Siamo in lista, documentario sull’evoluzione dell’andare in discoteca a Milano dagli anni Settanta fino quasi ai giorni nostri, visto che il documentario appena visto su Amazon Prime Video è del 2020. Abbiamo detto discoteca, manco fossimo al Genux o allo Studio Zeta, per citare due posti in cui nella preistoria ci hanno trascinato più volte, ma a Milano e nell’opera di Andrea Paulicelli, ideata da Stefano Fontana e con Albi Scotti narratore e intervistatore, si dice clubbing. Perché nel mondo anglosassone il club è la discoteca tamarra ma anche il locale cool, comunque non il nostro night club per cumenda (di quelli con la leggendaria sigaraia di Berlusconi). Andare per locali, quasi un lavoro visto che molte persone le si incontravano tutte le sere e che nel medio periodo andare sempre a letto all’alba è incompatibile con quasi tutte le altre attività.
Il documentario, un’ora che si guarda davvero agilmente e che considerando l’ampiezza del periodo trattato ha il pregio della sintesi, è basato su interviste a DJ e PR ben noti anche fuori da Milano: da Claudio Cecchetto a Ringo, da Lele Sacchi a Joe T Vannelli, da Alessio Bertallot a tanti altri. Interessante anche la prospettiva di PR come Marcelo Burlon e Natasha Slater, o di un musicista come Saturnino. L’idea di base che emerge è che la musica come le sue varie ere (disco, funk, house, indie, techno, minimal, eccetera) conti, ma molto meno del pubblico che frequenta i locali per così dire classici o le location improvvisate.
Ogni tribù metropolitana aveva ed ha i suoi posti ed ogni nome è evocativo di un mondo, quando non addirittura di un’epoca: Plastic, The Base, Rolling Stone, Propaganda, Casablanca, Tunnel, Café Atlantique, Old Fashion, Magazzini Generali, Casablanca, Hollywood, Pervert, soltanto per citare posti del passato (quelli del presente non li conosciamo, andate su Google o chiedete ad un amico fuoricorso pugliese criptogay) i cui frequentatori avevano un profilo ben chiaro ed i veri conformisti in fondo erano gli alternativi, a colpi di ‘Tre mesi prima l’avevo visto a Londra’. Un mondo sempre coesistito con i centri sociali, sulla carta più inclusivi e meno cari, ma spesso soltanto una specie di Under 21 rispetto ai posti con i soldi veri.
Alla base di tutto una pseudoesclusività, il voler creare nei locali microcosmi di persone dello stesso tipo: un meccanismo garantito dalle mitologiche liste (da cui il titolo) e dai nemici mortali dell’amico Erminio, che oggi fa la raccolta punti della Pampers ma nei suoi heydays lottava con buttafuori di ogni tipo, in linea di massima non filosofi della Sorbona ma di sicuro figure necessarie visto che la percentuale di teste di cazzo fra la clientela è decisamente superiore. In definitiva un documentario interessante, che pur parlando del passato spiega benissimo le tristi dinamiche della Milano di oggi. Di culto i deejay che se la tirano in maniera assurda (Ringo il peggiore, simpatici soltanto Cecchetto e Lele Sacchi) se consideriamo che devono soltanto mettere un sottofondo per ubriachi, drogati e gente che vuole scopare.
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