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Anni Ottanta

Sanremo 1982: un Festival al massimo

Paolo Morati 12/01/2022

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Eccoci qua a scrivere del Festival di Sanremo del 1982. Finalmente, 40 anni dopo un’edizione per tanti motivi storica e alla quale siamo particolarmente legati, tra l’altro la prima vista da noi a colori. Il televisore di famiglia, rigorosamente in bianco e nero, si è infatti rotto e la finale andiamo a guardarla presso amici, sorridendo fin da subito di fronte agli orsi giganti che ballano insieme a Mal sulle note di Sei la mia donna. Tornato in auge qualche anno prima grazie a Furia, l’ex leader dei Primitives è entrato all’ultimo nel cast al posto di un’icona dell’epoca: Sammy Barbot. Senza riuscire a insidiare il vincitore, ossia Riccardo Fogli.

Storie di tutti i giorni trionfa, giustamente, trattandosi di un brano memorabile, firmato da Fogli insieme a Maurizio Fabrizio e Guido Morra, autori lo stesso anno anche della poderosa Romantici di Viola Valentino. L’ex Pooh è accompagnato sul palco da Roberto Puleo, chitarrista che spesso lo seguirà anche nelle successive esibizioni, e mentre canta elegantissimo sfoggia un sorriso di circostanza per una storia a dire il vero non troppo allegra: “Un giorno in più che se ne va, un uomo stanco che nessuno ascolterà.”

Vero classico, capace di superare un altro evergreen della musica italiana, ossia Felicità di Al Bano e Romina Power, simbolo della loro storia (“Senti nell’aria c’è già, la nostra canzone d’amore che va, come un pensiero che sa di felicità”, ma noi preferiremo sempre Sharazan) scritta dal trio Minellono-Farina-De Stefani, e Soli di Drupi, ottimo brano di matrice soul firmato da Gianni Belleno e Vittorio De Scalzi dei New Trolls. Insomma, solo il podio basterebbe per giudicare imprescindibile questa edizione di Sanremo.

Ma andiamo avanti, a cominciare dal premio della critica, ossia quello assegnato a Mia Martini per E non finisce mica il cielo, cucita addosso da Ivano Fossati a chi tornerà al Festival solo sette anni dopo un ritiro causato dalla cattiveria degli altri (“Chissà se avrò paura o il senso della voglia di te, se avrò una faccia pallida e sicura, non ci sarà chi rida di me”). E poi c’è l’esordio di Zucchero con Una notte che vola via, Mario Castelnuovo e Riccardo Del Turco che con Sette fili di canapa e Non voglio ali regalano brani con ampi spazi strumentali improponibili nell’era dello streaming impaziente, Anna Oxa con Io no (adoravamo il video in rotazione su Antenna Nord), Giuseppe Cionfoli che con Solo Grazie conquista l’Italia cristiana, Vasco Rossi che scompiglia la routine dell’Ariston intonando Vado al massimo, e le Orme che con Marinai si allontanano dal progressive degli anni ’70.

Tutti episodi importanti di Sanremo, alcuni incipit di grande carriere, altri comunque immagini simbolo del Festival. Una rassegna che è ancora in bilico tra la melodia più classica, vedi la partecipazione dei Milk and Coffee con Quando incontri l’amore, di un simbolo del decennio, Christian, con Un’altra vita un altro amore, ma anche di Jimmy Fontana con Beguine, e temerari tentativi new wave, vedi la toccata e fuga dell’avanguardista Lene Lovich che, con Blue Hotel firmata insieme a Mauro Goldsand, sembra chiaramente un pesce fuor d’acqua.

E tra l’eliminazione con un mare di polemiche di Claudio Villa (Facciamo la pace, incredibilmente inserito nel gruppo di chi aspira all’accesso alla finale insieme a un altro nome storico come Orietta Berti, che si rifarà alla grande, o all’ex Matia Bazar e prossimo autore di Eros Ramazzotti, Piero Cassano) e lo stile acqua e sapone di Stefano Sani con la celeberrima Lisa, quella che “se ne’è andata via, non è più mia”, noi restiamo particolarmente colpiti dalle chitarre di Strano Momento di Roberto Soffici proprio mentre Fiordaliso, eliminata le serate precedenti, ci conquisterà nel tempo cantando Una sporca poesia (celebre per noi il primo verso “A A A cercasi amore…”). Il tutto, in attesa che anni dopo il fato sia finalmente positivo per Michele Zarrillo (Una rosa blu), ascoltando Bobby Solo con uno dei suo ultimi singoli (la trascinante Tu stai) prima di fondare l’operazione revival dei Ro.Bo.T o il singolo Cuore Bandito di Julie, una delle voci del duo Juli and Julie di cui faceva parte anche il padre di Giorgia, Giulio Todrani.

Di culto, per concludere, l’intro al limite del punk rock di C’è, brano di Elisabetta Viviani che rapidamente si trasforma in un’incredibile filastrocca d’amore in cui “ti stringi più vicino, in due sul mio cuscino, sognando la campagna, il sole, il grano, l’uva bianca, il vino.” Un vero Sanremo anni Ottanta, uno dei nostri preferiti, in questo caso totalmente al massimo, e non solo per la presenza in gara di Plastic Bertrand (Ping Pong), l’abito blu elettrico  di Rino Martinez (Biancaneve) e la terza – e ultima – conduzione di seguito di Claudio Cecchetto.

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