Risultati davvero legittimati

2 Febbraio 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

1. Cosa ha voluto dimostrare l’Associazione Calciatori con il quarto d’ora di ritardo sull’inizio previsto delle partite di A e B? Primo: di esistere. Secondo: che il calcio non si tocca, non a caso la Lega ha visto di buonissimo occhio questa coraggiosa iniziativa contro la sentenza del Tas di Losanna. Le solite manifestazioni contro chi è lontanissimo, un classico dei licei italiani che adesso è arrivato negli stadi. Il caso di Mannini e Possanzini è enorme, ma è evidente che loro sono solo un pretesto per dare uno stop all’antidoping: nessun quarto d’ora è mai stato dedicato ai giocatori di serie C fatti aspettare sotto casa dagli ultras prezzolati.
2. A proposito, non ci sembra di avere visto i media pieni di paragoni con l’analogo, per non dire uguale, caso Totti. Eppure i minuti di ritardo erano praticamente gli stessi, con il solito tocco in più di presa in giro (”Mi faceva male la caviglia”, come se la minzione fosse stata collegata all’intervento di Vanigli di un anno e mezzo prima) che fa simpatia dentro al raccordo anulare e ridicolo fuori. Ma in fondo scriviamo per i tifosi, perchè dovremmo rischiare la carrozzeria della macchina?
3. Dalle motivazioni della sentenza Gea, estrapolando dall’avvocatese. Illustrando le ragioni in base alle quali per Luciano e Alessandro Moggi il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del reato di violenza privata, nella motivazione ci si sofferma sulla posizione di Nicola Amoruso. Per l’attaccante si osserva, visto il suo rifiuto di andare al Perugia, che ”la qualità e l’entità della minaccia rivolta al calciatore risultano ampiemente idonee ad integrare il delitto di violenza privata: la prospettazione di stroncargli la carriera formulata dal Luciano Moggi -accompagnata dalla sostanziale complicità di Alessandro Moggi – non rappresentava nè poteva essere intesa dal giocatore come una semplice boutade o battuta di gergo calcistico o pallonaro, proprio perchè proveniva dal direttore generale della sua società, ossia dalla persona che solo l’anno precedente aveva potuto decidere il suo ritorno nella Juve (riacquistando la piena proprietà del giocatore), e quindi quella prospettazione negativa sul futuro di Amoruso ha avuto su costui un effetto determinante per fargli accettare tour court il trasferimento sgradito, che non è stato accompagnato da una trattativa e dal raggiungimento di un compromesso, ma solo imposto”. E parliamo di Amoruso, uno che in nessun caso avrebbe avuto problemi ad arrivare alla fine del mese. Poi il giornalista amico ti fa gli articoli sulla devozione a padre Pio, ma Amoruso (come Blasi e altri) questa devozione per il trascendente non l’ha notata.
4. Amauri sognava il Brasile, forse non come rimpiazzo dell’infortunato e appannato (con il Siviglia 4 gol in 5 mesi di Liga) coetaneo Luis Fabiano ma lo sognava: le dichiarazioni a Uol Esporte sono solo oneste, come onesto è sempre stato Camoranesi nel considerare l’Italia alla stregua di un grande club. La legge è dalla parte della Juve, che con meno di due settimane di preavviso ha tutto il dirito di negare i suoi giocatori per un’amichevole. Il problema è di chi vuole italianizzare chi non si sente italiano, come se la maglia azzurra rappresentasse qualcosa per chi è nato a Carapicuiba o se mancassero bravi attaccanti. Poi Cobolli si nasconde dietro ai massimi sistemi per giustificare un ragionamento di pura convenienza: meglio un ‘italiano’ per cui le convocazioni si possono sempre contrattare anche per le partite ufficiali, di un ‘brasiliano’ ingestibile.
5. Bellissimo NadalFederer a Melbourne e bellissimo Super Bowl a Tampa: grazie agli orari non ci sono stati vietati dall’overdose lavorativa (si fa per dire) e calcistica. Accomunati dall’importanza della prova televisiva: agli Australian Open uso ed abuso di challenge (nessuna novità rispetto agli altri grandi tornei, la novità è che Federer ne ha azzeccato qualcuno in più), in Steelers-Cardinals un episodio che sul finire del primo quarto ha evidenziato la necessità di agire sulle regole del calcio di alto livello, almeno per le situazioni di posizione (soprattutto fuorigioco, al di là del fatto che andrebbe proprio abolito). In pratica con un terzo e goal a una yard dal touchdown il quarterback di Pittsburgh, Ben Roethlisberger, ha rollato sulla destra e si è buttato a testa bassa verso la meta, tirato dentro la end zone dal centro Justin Hartwig. Gli arbitri hanno assegnato il touchdown, ma il coach di Arizona Ken Whisenhunt ha chiamato il replay e dopo qualche minuto si è stabilito con ragionevole grado di certezza che un ginocchio di Roethlisberger aveva strisciato a terra prima che la palla oltrepassasse la goal line. Marcatura annullata, quindi un quarto e uno che gli Steelers non hanno ‘giocato’ preferendo il calcio da tre punti. Insomma, tre punti invece di sette: poi gli Steelers hanno vinto lo stesso nonostante la grande rimonta Cardinals, ma non l’hanno fatto partendo con un touchdown farlocco e non hanno costretto i loro giornalisti a ragionamenti del tipo ‘Sì, era fuorigioco di pochi centimetri, ma poi la squadra ha legittimato il risultato’. Sono cose che costano, certo, e dispiace che neppure nella prossima riunione dell’International Board se ne discuta. Ma avere qualche certezza in più in Champions League che male farebbe al calcio dell’Etiopia o di Gibuti?
stefano@indiscreto.it
Share this article