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Permalosi numero 40

Stefano Olivari 22/01/2008

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A seguito di quanto scritto da Ubaldo Scanagatta sul suo blog, articolo ripreso anche dalla Settimana Sportiva, si è instaurata una corrispondenza tra noi ed il Direttore della Comunicazione della Fit Giancarlo Baccini. Essendo una corrispondenza pubblica, avvenuta sul sito, la riportiamo solo per precisare le nostre posizioni lasciando ai lettori il giudizio.
NOI (riferendoci al’articolo di Ubaldo sul vittmismo dei tennisti italiani): Per quel che vale sottoscrivo parola per parola. Provate voi ad andare in riunione con il direttore e proporgli un pezzo di tennis… Certo: se si sventolano belle ragazze o storie particolari il gioco è fatto, ma se si dice solamente “Oggi cominciano gli Australian Open” il risultato è uno sguardo interrogativo del tipo: “Già, ma i tennisti italiani non fanno tutti schifo?”. Che non è vero, ovviamente, ma per il grande pubblico (quello che non vive di tennis come noi, intendo) e per – giustamente – i direttori lo sport tira quando si vince. Un tennista numero 30 o 40 del mondo non è notizia e non lo è neppure, come scrive spesso qualcuno sul suo blog, il numero decuplicato – ma che dico, centuplicato – degli iscritti alla federazione. L’interesse del grande pubblico (e dei direttori) lo fanno le vittorie, lo fa il personaggio. Nel nostro tennis purtroppo questo non c’è: ci sono ottimi professionisti che sudano e lavorano per arrivare in alto ma che di più non possono fare. E, considerati i numeri che cita Ubaldo, dire che qualcosa non va non è un insulto per nessuno, ma una (triste) realtà. Pensate che come inviato non mi sarebbe piaciuto andare a Melbourne per raccontare questo torneo fantastico? E pensate che da responsabile della redazione sportiva non mi piacerebbe inondare le pagine di tennis? Ma non si può fare. Si potrebbe invece davvero cominciare a costruire un rapporto migliore tra giocatori, dirigenti e stampa, nell’interesse del nostro tennis appunto. Ma quando una federazione risponde alle critiche con gli insulti si capisce che più che un impresa il tutto diventa un miracolo. E non ci si stupisce se i giocatori diventano permalosi.
GIANARLO BACCINI: Caro Marco, non avendo il piacere di conoscerti e non avendo pertanto mai parlato con te proprio non mi riesce di ricostruire quando e come ti avrei insultato. Se l’ho fatto senza rendermene conto ti chiedo, comunque, scusa. Personalmente ritengo che la tua passione per il tennis ti faccia sembrare il problema più grande di quello che è. Io che tutti i giorni curo la rassegna stampa federale ti assicuro che lo spazio dedicato al tennis dai giornali è in crescita costante, proprio come tutti gli altri indicatori di cui disponiamo in FIT. Anche il tuo impegno diretto mi sembra stia dando i suoi frutti, perché “Il Giornale”, a mio giudizio, si occupa di tennis in modo esauriente ed adeguato, forte com’è non solo della tradizione (ti prego di portare un saluto all’amico Silvano Tauceri, compagno di tante scorribande…) ma anche di una firma elegante e prestigiosa come quella di Lea Pericoli. Per quanto riguarda i problemi che spieghi di avere con il tuo direttore… beh, posso soltanto dirti che quando facevo il tuo mestiere per “Il Messaggero” eravamo noi della redazione sportiva a indicare quali argomenti meritavano di essere sviluppati sulle nostre pagine. E che non appena mi capitò, dopo vent’anni, di entrare in conflitto strategico con uno dei cinque direttori con cui ebbi a lavorare in quel giornale non esitai neppure un minuto a dare le dimissioni. Spero di conoscerti presto di persona. Perché non vieni a Napoli a vedere Italia-Spagna di Fed Cup? In bocca al lupo e buon lavoro!
MARCO LOMBARDO: Gentile Giancarlo, abbiamo il piacere di conoscerci ma mi rendo conto che tu non te lo possa ricordare. Sono venuto infatti come inviato del Giornale all’incontro di Coppa Davis Italia-Spagna a Torre del Greco, ma in effetti non mi sembravi preoccupato di sapere chi fosse il giornalista con cui hai scambiato qualche breve frase, né io ho la tendenza a invadere la privacy altrui e a farmi conoscere a tutti i costi. Avrei dovuto farlo? Forse, ma non ero io il padrone di casa. Comunque, ripartiamo pure da zero e in attesa di conoscerci ufficialmente (ti ringrazio del cortese invito ma purtroppo la mia attuale vita di caporedattore mi impedirà di essere a Napoli) volevo chiarirti che non ho mai scritto di essere stato insultato da te. Mi riferivo invece alla tua frequente attitudine al dileggio nei confronti di Rhino (l’hai scritto tu) Tommasi, collega con il quale si può anche non essere d’accordo (e anch’io a volte non lo sono) ma che è comunque riconosciuto – non solo da me o da noi due, ma dal resto degli appassionati italiani e non – come voce più che autorevole. Essere in disaccordo e avere magari anche qualche bega privata da risolvere non giustifica, appunto, l’insulto. Ma purtroppo vedo che la linea federale non prevede questa via di mezzo. Tralascio, per evitare di annoiare troppo, di risponderti riguardo alla parte in cui mi dai lezioni di comportamento con il mio direttore: come hai detto giustamente scritto tu, il tennis sul Messaggero di allora aveva ampio spazio e di sicuro te ne va a merito, anche se forse erano altri tempi e c’erano altri tennisti. Comunque prendo a cuore i tuoi suggerimenti, ti ringrazio dei complimenti, ti saluto Lea (che comunque, sono sicuro, vedrai a Napoli) e Silvano. Spero di vederti presto di persona e ti faccio anch’io il mio augurio di buon lavoro. Di questi tempi non manca di certo.

Marco Lombardo
marcopietro.lombardo@ilgiornale.it

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