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Olimpia come la Garifullina
Oscar Eleni 20/02/2017
Oscar Eleni in viaggio punizione a Kazan per sapere tutto di Aida Garifullina, soprano di grande qualità, donna splendida, vista anche al cinema con Meryl Streep e Hugh Grant per Florence, la stonata ricca che cantava nei grandi teatri perché si pagava tutto, anche gli spettatori, un po’ come succede per certi giocatori, non soltanto di basket, e certa stampa. Importante conoscere il personaggio che è diventato simbolo per le fatiche sportive dei “gladiatori” di re Giorgio, per l’Emporio Armani che ha rivinto la coppa Italia passando per la cruna dell’ago, una storia dura da pozzo e il pendolo, esaltando i detrattori di Repesa fino a quando Gelsomino ha riscoperto (un caso?) gli uomini per arrivare dove doveva. E sì, la Garifullina ha trovato le parole per spiegare agli psicologi da strapazzo che frequentano i bar sport cosa diventa ossessione per i favoriti, per gli unici che non sono autorizzati a perdere perché sono nella società più ricca. Ecco il manifesto che va bene anche per l’Armani: ”Sono bella, ma sul palco faccio sul serio. Mi dicevano che non avevo bisogno di cantare, bastava che sorridessi in scena”.
Ora prendiamo le tre partite dell’Emporio per arrivare di nuovo alla Coppa Italia. Tutto nel manifesto. Per fortuna dopo i sorrisi, gli inchini, le carezze, hanno ricordato che perdere contro Brindisi, Reggio Emilia o Sassari voleva dire assicurarsi un posto da barista nel privato di qualche discoteca. Milano vincente e sorridente uscendo dal paradosso che la incatena: noi tutti, dice il coro degli avversari, possiamo vincere, voi, invece, non potete proprio perdere. Devi essere forte dentro per convincere il tuo compagno che non è tempo per ripicche, amarezze, molli approcci alla battaglia. Ci vorrebbe un vissuto comune, una fatica giornaliera sapendo leggere nella storia del tuo club. Bisognerebbe stare tanto tempo insieme, passarne di belle, ma soprattutto vivere uniti i tempi bui. Lo sport è scuola dove si insegna di tutto, anche la pazienza, persino l’umiltà ai ganassa che arrivano sul ring e pensano che basterebbe sorridere perché i soldi ti hanno permesso di avere tutto prima, perché la bellezza fa parte della firma di presentazione. Ci vuole tempo.
Bisogna mangiare la stessa sbobba come una qualsiasi brigata del diavolo. Milano, quella di quest’anno, è passata sotto il reticolato fra i gas della delusione. Ha dovuto convivere con la depressione, ha capito con fatica cosa era successo per divorziare da Alessandro Gentile, ha scoperto che seguire il verbo di Repesa, gioca soltanto chi difende, non sarebbe stato utilizzabile andando a discutere di nuovi contratti. Nel pericolo si è compattata, forse senza comprendersi davvero mentre il capitano mostrava los marones. Anche a Rimini non tutte le facce del trionfo erano uguali. Sarà meglio guardare le immagini, non la premiazione, lì sul palco basta davvero sorridere, ma le facce che ricordano un passato di equivoci, quelle che l’Olimpia di oggi non dovrebbe più tollerare, come non dovrebbero più esserci intorno alla squadra voci di un coro mai autorizzato o autorizzabile. Vale per tutte le società, ovviamente. Pagano se perdono, sono premiati, se vincono, soltanto quelli che sudano in palestra. Tutti, dal fisioterapista al medico ai tecnici e, ovviamente, ai giocatori.
Tolto il dente cariato dalla pessima Eurolega, Milano va verso il suo ventottesimo scudetto avendo scoperto a Rimini che certe mollezze, quei passi doppi dove spesso inciampa ancora, hanno dato speranza a chi sembra rinforzato davvero, puntando proprio sulle “debolezze” contestate a questa Milano riccona e sbrodolona che intanto vince nel suo territorio, anche se avrebbe fame di gloria oltre le frontiere nazionali che nello sport esistono anche se adesso siamo qui a brindare per il successo in coppa tedesca del Trinchieri e del Melli su Djordjevic e il Bayern Monaco, anche se una coppa l’ha vinta, da caratterista, 4 punti, pure Alessandro Gentile con il Pana nella solita rissa contro l’Aris. Ale l’anno scorso non c’era nella finale vinta da Milano contro Avellino. Le coppe nazionali sono tutte storie a parte se un Real vince al supplementare con Valencia, se in Turchia il Banvit di Bandirma ha battuto l’Efes che pure sta in Eurolega.
Un mondo tutto speciale dove chi si accontenta gode e se gli spagnoli festeggiano gli oltre 103 mila spettatori portati sulle tribune a Vitoria noi italiani siamo felici della giga che ballano i nuovi tenutari della Lega, ben accolti e serviti da Rimini, dove forse vorrebbero tornare, pazienza se i posti a sedere non sono tanti: eh sì la pallavolo per la coppa Italia ha fatto 9.000, lo stesso volley, nello stesso giorno della finale Milano-Sassari ha avuto quasi gli stessi spettatori per Trento-Modena, il campo dove gioca pure l’Aquila basket che ha una media presenze di 3.080.
Detto questo, abbracciando chi ha lavorato così bene nella comunicazione, cominciando dall’alluvionale Ballerini, dalla preziosa e mai sostituibile Federica Moschiano del team Colombo, che hanno supportato la squadra Bezzecchi, passiamo alle emozioni vissute nelle quattro giornate che sembrano aver conquistato anche un buon numero di telespettatori, pazienti ascoltatori di un viaggio quasi nell’utopia come se davvero avessimo un basket di alta qualità.Vi diciamo subito che avrebbero meritato di più, quasi sempre, quelle che hanno perso.
Capo d’Orlando è stata davvero una piacevole sorpresa contro Reggio Emilia. Sacchetti ha tanti motivi per sentirsi infelice perché una Brindisi mai vista prima ha fatto davvero tremare un Emporio visto tante volte così infedele al piano societario. Fra Avellino e Sassari erano tutti convinti che fosse la squadra di Sacripanti ad avere le armi per tenere davvero in ansia la Milano senza il metronomo Simon. Diciamo che soltanto Brescia ha davvero fatto una sorpresa, ma questa Reyer in pezzi non poteva sperare di più se poi ha anche qualche giannizzero con le paturnie. Stessa cosa in semifinale. Brescia ha dimostrato cosa può arrivare dalla serie A2, come Trento prima di lei, cosa può fare una squadra se dietro ha una società vera, organizzata per contare in futuro più di oggi anche se quello fatto fino ad ora è tantissimo.
Sappiamo tutti come ha vinto Milano contro Reggio Emilia, a cui sarebbe bastato avere un Polonara almeno decente per trovare la prima gioia contro i colossi. Astenersi da commenti quelli che, non sopportando Repesa, sono convinti che il placido giallista vegetariano Cancellieri lo abbia salvato dalla lapidazione e forse dovrebbe essere lui a guidare la squadra con Gelsomino promosso manager, rimosso da un ruolo dove qualcosa ha mostrato di saper fare perché 20 trofei non li vinci soltanto con la fortuna, o per la ricchezza del tuo padrone del momento, come direbbero alla Fortitudo che per vincere lo scudetto dovette combattere già con le avanguardie di Armani e altre ricche franchigie. Ricche per casa nostra. Sia chiaro.
Nella finale abbiamo visto come potrebbe svilupparsi il potenziale della nuova Sassari. Nessun dorma, da Avellino a Venezia anche se Batista cambierà molte cose, non per la difesa, ma per l’armonia del gioco, da Reggio Emilia che ha tanti margini per crescere ancora, quando sarà finalmente al completo, alla Milano che del doman dovrebbe avere certezze soltanto per le idee che sembrano finalmente illuminare: confermare chi dimostra di saper stare nella nobil casa, basta porte girevoli. Educare, far crescere, obbligando i viaggiatori a fermarsi nel tavolo comune, leggendo insieme una storia che non è banale, come direbbe Sandro Gamba.
Pagelle speciali di coppa lasciando da parte Milano che il suo 10 lo ha già preso vincendo quello che ha rischiato di perdere, cambiando un destino per il gruppo che vale come una notte in prima linea in qualsiasi guerra esistenziale:
10 e lode A GIANLUCA BASILE. Un grande. Come giocatore, ma soprattutto come uomo che interpreta nel modo giusto la parte del campione. Ci mancherà sul campo, non fatelo uscire dalla porta di servizio voi che potete e dite di comandare.
10 A PASQUINI, SARDARA e SASSARI perché sono tornati davvero ad occupare un posto fra le società che contano in questo basket che li vedrà anche in Europa a buon livello, se elimineranno il Le Mans dopo il Nymburk.
9 A DI CARLO e CAPO d’ORLANDO perché il loro modo di stare fra gente ricca è da nobili gattopardi. Il basket dovrebbe andare in pellegrinaggio a questo santuario dove magari non tutti sono santi, ma dove si può meditare.
8 A DIANA e BRESCIA per averci riportato, grazie alla presidentessa pasionaria, ai tempi del Pedrazzini e del barone Sales. Se il Vitali che darete alla Nazionale è questo allora Messina dovrà venire almeno a ringraziarvi insieme al Brunamonti che abbiamo rivisto con il suo sorriso dei giorni in cui era felice di servire una causa.
7 A MENETTI perché abbiamo letto che potrebbe trovarsi pure lui davanti alle maschere degli ingrati che popolano l’ignoranza dello sport nazionale. Per fortuna Landi non ascolta e non ha bisogno, come il collega di Milano, di confermare che non ci sono mai stati pericoli per l’allenatore. Ci mancherebbe e adesso non dite che potrebbe proprio essere Milano a volere il cuoco friulano dei reggiani.
6 A Romeo SACCHETTI per come ha sopportato la decisione sul nanosecondo che gli toglieva un supplementare contro l’adorabile nemica beffata spesso in passato. Interessante l’evoluzione della sua squadra.
5 A DE RAFFAELE perché i generali sfortunati rischiano. Cerchi di andare avanti nella coppa FIBA e mediti sui “tradimenti” di Rimini che ci sono stati anche se lui, giustamente, ha elogiato chi era in battaglia con i fucili di latta.
4 Agli ARBITRI delle finali riminesi se non si ritroveranno, invitino loro chi vogliono come ha fatto Petrucci in Romagna, per confrontare il metro di giudizio delle partite dirette. Non discutiamo sul giusto o sbagliato, ma sull’idea che i giocatori e gli allenatori, anche quelli che protestano a prescindere per fare i paraculi, per pararsi i sederone, devono sapere il grado di contatto concesso in uno sport che non è palla prigioniera.
3 A DONZELLI, DE NICOLAO, I VITALI perché ci fanno sempre passare per disfattisti quando diciamo che puntare sugli italiani è dura, un difficile viaggio nell’utopia se pensiamo a come troppe società hanno lasciato marcire vivai che erano fiorenti e che davano veri giocatori.
2 A REPESA estrapolando dal successo, dal voto per la vittoria, perché uno come lui non avrebbe mai bisogno di fare dichiarazioni tipo: “Fino a quando resto Milano vincerà”. Lo lasci dire a noi che siamo dalla sua parte, sapendo che molti non sono proprio convinti che per prezzo-qualità lui sia il migliore per la Milano che deve cavalcare in Europa più che in Italia.
1 Ad Ettore MESSINA se davvero crederà a tutto quello che dicono sui progressi dei giocatori che dovrebbero servirgli per il prossimo Europeo. Come si chiede ai politici: cammini sul marciapede e annusi per conto suo. Dal Texas? Be’, con i giusti accorgimenti si potrebbe. Ricordi Torino, non le partite, il contorno, rammenti l’esordio in Azzurro, l’evoluzione, non si faccia stregare da chi insiste per vedere tutti i migliori in nazionale. No. Ci devono andare quelli che credono al concetto di squadra non all’input dell’agente che vede la vetrina Azzurra più florida se hai la maglia della Nazionale.
0 A Werther PEDRAZZI perché far sentire invidioso un vecchio rudere del mestiere è grave, ma lui ci è riuscito con la bella intervista per il Corrierone del Dallera a Boscia Tanjevic che ha dipinto così bene i suoi 70 anni, una storia di sport, lasciando ai successori lo slogan che dovrebbe aiutarli a lavorare meglio: “Se risvegli l’anima trovi l’arte”. Detto in parole povere, fidiamoci di questo e non prendiamo paura ogni volta che il coro brontola senza nulla togliere al potente partito degli agenti che ha rieletto, ci fa piacere, Virginio Bernardi come presidente.