Occhi alla Velasco

6 Febbraio 2008 di Stefano Olivari

IL RE E LA SUA CORTE – Djokovic, Murray, Gasquet, Blake, Davidenko, Baghdatis, magari Safin e naturalmente Nadal. Il primo turno degli Australian Open ha confermato che – forse adesso come non mai – il tennis maschile è tornato vivo, nonostante il dominio di Federer. Prendete dal mazzo quello che volete e troverete uno che può vincere a Melbourne: personalmente scegliamo Djokovic, Murray o Blake, il primo perché è solido, il secondo perché è in palla, il terzo perché è in un momento fisico mostruoso. Insomma: per il nostro sport il momento è d’oro, anche se poi vincerà Federer. Ma non sarà una passeggiata. GLI OCCHI DI TIGROTTA – Tra le troppe sconfitte al primo turno dei nostri, scegliamo come peggiore quella della Mara Santangelo, avvenuta in diretta tv e davanti a Serena Williams. Non tanto perché la ormai enorme ex numero uno del mondo non sia tuttora superiore all’italiana, ma perché l’impressione è che Mara si sia arresa alla prima difficoltà – e cioè sul 2-2 del primo set – spaventandosi più del nome che della potenza della sua avversaria. Per chi ha visto l’incontro Serena è apparsa una normale, di livello ma normale. Certo, lei non può essere quella di un tempo e deve riprendere il clima circuito, ma se vale ancora la teoria degli occhi di tigre che tempo fa spopolava nel nostro mondo giornalistico, ecco: quelli non li abbiamo proprio visti. Serena aveva più o meno lo stesso sguardo che ha Julio Velasco oggi. A PROPOSITO – A proposito di donne, che si debba contare ancora su di loro è cosa ormai chiara. Che però si usino per mascherare i problemi del nostro tennis è altrettanto vero, anche perché il successo in Fed Cup del 2006 è stato un premio eccezionale e meritato ma non certo paragonabile – come invece si vuol fare – a una vittoria in coppa Davis. La colpa è nostra, naturalmente, maschilisti anche nello sport. Di certo però usare questo trionfo per fare la solita resa dei conti interna è altrettanto stupido. Un esempio: alla festa di celebrazione per la conquista dell’insalatiera femminile non hanno partecipato – per motivi diversi – i più importanti giornalisti del settore (per intenderci: noi non siamo tra questi). Colleghi ce n’erano, per carità, ma preferibilmente allineati, mentre gli altri di solito si affrontano a colpi di querele. Questa insomma è la logica del clan azzurro, nel vero senso della parola, incarnato da un ct che divide il mondo in amici (pochi) e nemici (il resto). Resta il fatto che Barazzutti, pezzo importante del tennis italiano, non può ritenere che lo stesso sia cosa sua. Anche perché non ci sarebbe da vantarsene. TURBOCOMMENTO – Come avevamo anticipato la settimana scorsa, le telecronache di Eurosport hanno preso il via con anadamento lento. C’è stata però la sospresa: nei match mattutini è comparsa la voce di Paolo Canè, a cui è dedicato il titolo di questa rubrica e che ha confermato comunque di essere ancora in palla. Canè, che attualmente dopo la parentesi nel reality ‘La Talpa’ sta curando l’organizzazione di un torneo chiamato ‘Tennis extreme’ (dove si gioca ad handicap e dunque chiunque potrebbe battere anche – esageriamo – Federer), ha alzato il livello del commento tecnico e ci ha fatti ritornare un po’ indietro, ai suoi turborovesci appunto. Paolino ha anche ricordato con orgoglio quando quasi battè Lendl a Wimbledon e quando sfiorò il successo contro Muster in un epico match di coppa Davis in Austria. Insomma: due sconfitte, ma che almeno – a differenza di quelle di Volandri e soci di oggi – ricordiamo con nostalgia. IL NOSTRO EROE – Abbiamo trovato il nostro idolo: si chiama Michael Russell, è americano, ha 28 anni e un fisico da vicino di casa che pensa di essere figo mettendosi la maglia di Nadal. Oggi era in campo contro Hewitt e vinceva due set a zero, 2-1 e servizio: poi ha perso, ma questo capita in uno sport meraviglioso come il tennis. Peccato però che lo stesso Russell qualche anno fa abbia fatto più o meno la stessa cosa contro Kuerten a Parigi: due set a zero, match point nel terzo e sconfitta finale. Al termine di quel Roland Garros il brasiliano alzò la coppa mentre Russell tornò nell’anonimato, dove è rimasto fino ad oggi: adesso invece entra di diritto nell’olimpo di noi sedicenti tennisti, quelli che vanno al circolo con racchetta e mutandoni firmati con l’aria di chi spaccherà il mondo. Tutto perché il tennis è uno sport meraviglioso, ma almeno oggi non ditelo a Russell.

marcopietro.lombardo@ilgiornale.it

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