Non aprite quel Laporta

23 Luglio 2008 di Stefano Olivari

L’arrivo di Ronaldinho in Italia ha riportato un po’ alla vera essenza del calcio: ai palleggi di Maradona nel 1984 davanti 70mila napoletani (con biglietti a 1000 lire, viene da piangere) o alle manifestazioni friulane ‘O Zico o Austria’ da parte di un pubblico che anni dopo non avrebbe riempito lo stadio neppure per la Champions League, al di là del fatto che all’epoca si trattasse di campioni lontani dal declino. E’ evidente che avendo lo scudetto come primo obiettivo al Milan sarebbero serviti più tre giocatori medi (a parte Flamini e Zambrotta) che uno fenomenale, ma alla fine per la maggioranza dei tifosi contano solo il presente e le sue emozioni. Ancelotti non è un tifoso, ha il piccolo problema di dover vincere e la sua scelta sarebbe andata ad un centravanti di peso avendo già battezzato in un certo modo Borriello, ma dal punto di vista della società l’operazione è stata perfetta. Ronaldinho si ripagherà da solo ingaggio e cartellino, non solo con le vendite della maglietta numero 80 (peraltro imprecisabili, vista l’usanza italiana dei licenziatari ‘ufficiosi’), cosa che del resto era già avvenuta con Ronaldo. Inoltre non ha mai avuto infortuni devastanti: fare bene dipenderà in definitiva solo dal suo cervello e non certo dalle motivazioni sportive. Fra i dinosauri arrivati nel Milan versione Cosmos, da Rivaldo a Ronaldo passando per Vieri, lui è senz’altro il più sano: e questo, come scrive Tiziano Ferro (nella canzone X Factor cantata da Giusy Ferreri) non è solo un piccolo particolare. Dall’altro lato, in negativo, c’è una considerazione che comprende e supera tutte le altre: il Barcellona ha fatto l’impossibile per liberarsene, chiedendo un quarto di quanto pretendesse un anno fa dal Chelsea della situazione, nonostante per mesi la stampa catalana di regime sostenesse che il problema vero fosse il permissivismo di Rijkaard. Laporta può avere fatto un errore madornale, ma di sicuro Ronaldinho lo conoscono bene. Nel calcio di oggi, dove i grandi club sono timorosi soprattutto di rinforzare i diretti concorrenti, una mossa che dice molto sulla cultura del giocatore e del suo entourage. D’accordo che in Italia anche i giornali di gossip sono schifosi perché pubblicano quasi solo foto posate, e quelle compromettenti le rivendono alle società (poi il demonio è Corona), ma adesso il problema è di sostanza e non che il popolo bue venga o meno a sapere.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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