Nobiltà e miseria

13 Luglio 2009 di Stefano Olivari

Un miracolo che ci siano state così poche coltellate come quella di Gunther Parche a Monica Seles, al torneo di Amburgo del 1993 durante una partita con Magdalena Maaleva (la terza delle tre sorelle da quarto di finale). Vedendo la cerimonia di entrata della serba (in realtà con passaporti americano e ungherese) nella Hall of Fame del tennis (una cosa per dare un po’ di vitalità al torneo di Newport, sonnolento ambiente da gesti bianchi), il primo pensiero è andato alla carriera che avrebbe potuto avere (all’epoca della coltellata aveva diciannove anni ed aveva già vinto otto tornei dello Slam: dopo la lunga pausa avrebbe vinto ‘solo’ un Australian Open) ed il secondo alla facilità con cui i grandi campioni sono raggiungibili da qualunque tipo di pazzoide. Non dai giornalisti, docili nelle loro sale stampa con ogni genere di conforto (primo fra tutti il televisore, uguale a quallo che hanno a casa), ma da questuanti vari e soprattutto da antipatizzanti. Il tennis si è dotato di bodyguard in campo e negli immediati dintorni, ma contro personaggi alla Parche (ossessionato da Steffi Graf, che da poco era stata scalzata dalla Seles dal numero uno del ranking) nel resto dell’esistenza non c’è difesa. Lo sport deve avere quindi qualche divinità che preservi i suoi eroi da guai ancora peggiori di quelli che succedono. Ci sono le divinità ma anche gli esseri umani con le loro miserie: tutte le tenniste di vertice tranne Gabriela Sabatini rifiutarono la proposta, non della Seles ma della WTA, di non cambiare la posizione numero uno fino a quando la Seles non fosse tornata alle gare. Fra le più dure una miserabile Graf, che oggettivamente trasse vantaggio dalla situazione. Dei nove tornei dello Slam prima della coltellata la Seles ne aveva vinti sette, più una finale a Wimbledon 1992 (nel 1991 non partecipò).

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