Modello Toyota

9 Febbraio 2010 di Libeccio

di Libeccio
La crisi dei luoghi comuni,  l’invidia per la Spagna, la banalità del giornalistese e Pizzaballa che ci manca.
 1. La crisi economica sta cancellando posti di lavoro ma anche consolidati luoghi comuni. Nel giro di pochi giorni sono caduti due miti dell’economia globalizzata: la Toyota e la Spagna. Il primo mito più di lungo corso, il secondo di fortune più recenti. Ricordiamo ancora un seminario al quale partecipammo circa 20 anni fa, focalizzato proprio sul “modello” Toyota (incentrato sulla flessibilità, cura maniacale del Cliente, prodotto di eccellenza ad un prezzo competitivo, soglia minima di scorte secondo il concetto “just in time”, contenimento costi tramite rigidissime e sofisticate economie di scala). Poi nel 2009 è esplosa la bolla finanziaria (finanziamenti non onorati) e immobiliare (mutui non pagati) negli Stati Uniti (primo mercato per la Toyota) e la casa del Sol Levante entra in crisi grave: partono i licenziamenti di massa, molti siti industriali vengono smantellati. Adesso anche l’immagine è sporcata, considerato che migliaia di auto Toyota sono state richiamate per difetti strutturali anche gravi. Forse è veramente la fine di un epoca.
2. Anche la Spagna andava alla grande e continui erano i paragoni (negativi per noi) con l’Italia. Il loro Pil cresceva di più insieme ai loro redditi e alla loro capacità di spesa. Migliori e più avanzate delle nostre le loro riforme sociali. Anche la nazionale delle “furie rosse” ci dava del filo da torcere. Per noi gli spagnoli erano diventati i migliori Clienti in termini turistici. Ma erano ottimi Clienti per ogni località mondiale. Ci trovavamo (una decina di anni fa) alle soglie dell’Himalaya, in un villaggio sperduto abitato solo da poveri contadini, quando sentimmo una lingua la cui matrice ci sembrò familiare: era un gruppo di rumorosi spagnoli a rompere quell’incanto. Perché gli spagnoli sanno essere anche più rumorosi di noi italiani. Ora sembra tutto finito. Spagna in crisi paralizzante, Pil in caduta libera insieme ai redditi, molte famiglie in difficoltà, le riforme sociali in pericolo e in serbo forse un rischio di default. Quello che luccicava, era tutto oro vero?
3. Il giornalismo sportivo ci incanta per la varietà e banalità dei termini utilizzati anche da grandi (?) giornalisti: il pressing (contrastare il portatore di palla avversario), le ripartenze (improvviso rovesciamento di fronte), la fase difensiva (primo non prenderle), il possesso palla (meglio averla che perderla), le palle inattive (punizioni e simili), le diagonali (seguire lo sviluppo dell’azione accentrandosi ed intervenendo in chiusura), il movimento senza palla (giocare di anticipo sui movimenti dell’avversario), lesciabolate (i mai dimenticati traversoni), il 4-4-2 (squadra classicamente
schierata: con difesa, centrocampo e attacco), attaccare lo spazio (proporsi continuamente per il passaggio), far salire la squadra (evitare di essere schiacciati nella propria metà campo), andare in superiorità numerica (correre più degli avversari), il calcio champagne/spettacolo (un calcio divertente), per ultimo il quasi dimenticato catenaccio (tutti a difendere un risultato altrimenti impossibile). Nella vita le cose fondamentali restano (all’incirca) sempre le stesse e nel calcio accade più o meno la stessa cosa. Sempre sul tema del lessico sportivo e pallonaro, personalmente abbiamo nostalgia per quanti parlavano di interventi di difesa “alla viva il parroco”. Uno di questi era Beppe Viola: mitizzazioni postume a parte, per essere ricordati basta non essere banali. A maggior ragione nel giornalismo sportivo.
4. Pier Luigi Pizzaballa (Atalanta, Verona, Roma, Milan e ancora Atalanta) pur essendo stato un bravo portiere, non è mai stato uno Zoff o un Buffon, eppure secondo la leggenda era introvabile alle figurine Panini dell’anno calcistico 1963-64. Leggenda ma anche realtà, vissuta in prima persona. Per averlo, eravamo disposti a tirar fuori tutti i doppioni che avevamo di Mazzola (Sandro) e dell’Abatino Gianni (omaggio riconoscente a Gioan Brera che si divertirebbe pure con il calcio attuale), ma non c’era nulla da fare: quella figurina era incomprensibilmente introvabile. Solo dopo ben 46 anni scopriamo l’arcano. Quella figurina era introvabile perché la Panini si era dimenticata di stamparla, rimediando in un secondo tempo. E dire che era rimasto un cruccio stabile nella nostra memoria di allora. Storia di altri tempi che merita due righe e ci commuove ancora, a pensare a quanti ragazzini impazzirono (inutilmente) alla ricerca di quel rettangolino di carta da incollare su un album di sogni di pallone.
Libeccio
(in esclusiva per Indiscreto)

Share this article