Meno Guerini e più tristi

19 Dicembre 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Questa mattina in edicola, mentre cercavamo American Superbasket sotto creme idratanti e zuppiere, abbiamo osservato con attenzione la parete delle riviste sportive. Sportive in senso molto ampio. Per farla breve, ce n’erano tre di tatuaggi (sì, tatuaggi) e due di calcio. Presi dallo sconforto, più per il successo editoriale dei tatuaggi che per l’insuccesso del calcio nella patria del calcio parlato, ci siamo ricordati che tanti lettori di Indiscreto sono rimasti colpiti dal cambio di periodicità del Guerin Sportivo.

Per chi non lo sapesse, da settimanale è appena diventato mensile. Sempre con la direzione di Matteo Marani, il primo numero del nuovo corso è stato venduto sia in allegato al Corsport che in forma indipendente, con una sorpresa: la pubblicità! Aspettiamo però a giudicare: spesso certe pagine sono date gratis agli sponsor da coinvolgere in futuro, o anche solo per non sembrare sfigati senza potere contrattuale quando ci si rivolge a centri media o ad altri intermediari di questo universo cialtrone.
Molti affezionati si sono indignati, molti altri hanno visto in questo cambiamento (imposto dalla cassa integrazione e dai prepensionamenti che hanno azzerato la redazione, non certo da grandi strategie dell’editore Amodei: il paradosso è che nel 2009 il giornale aveva aumentato le vendite del 16%, a riprova che in ogni settore la crisi viene ingigantita per giustificare tagli e ristrutturazioni ‘cinesi’) una grande opportunità. Apparteniamo al secondo gruppo, visto che da sempre aspettiamo una rivista che parli di calcio in una maniera che prescinda dall’ultima dichiarazione e dall’ultimo risultato.
Il problema è che questo tipo di operazioni sono state fatte più volte, ma con il taglio intellettualoide del giornalista che ama farsi leggere da altri giornalisti. Tutti genii incompresi, un po’ come noi, spesso presuntuosi convinti che alla gente interessi più un terzino coreano di mezzo secolo fa invece dei retroscena sulla propria squadra. Non c’è ironia: se facessimo davvero gli editori bocceremmo qualsiasi progetto non incentrato su Inter-Juve-Milan o, con distribuzione locale, su poche altre realtà. Il nuovo Guerino, avendo conservato gran parte delle firme del vecchio, ci sembra per fortuna lontano dal rischiare questa deriva. E quindi la periodicità mensile potrebbe, ancora più di quella settimanale, stimolare articoli dal respiro più ampio senza far perdere vicinanza alla realtà.
Di sicuro il Guerin Sportivo è un marchio è di quelli che tutti conoscono, anche quelli che sono rimasti fermi agli anni Settanta (genere ‘Aahhh i poster di Keegan! Lui sì che era un campione, altro che Messi‘): peccato che l’editore l’abbia ribattezzato GS, come una nota catena di supermercati. Una storia nata a Torino, proseguita a Milano e finita a Bologna, che ha regalato pagine memorabili soprattutto ai tempi del lenzuolo: che per motivi di età abbiamo preso solo per la coda, con Gianni Brera direttore (il miglior Brera, quello narratore fra il retroscenista politico e il cazzeggiatore tecnico-tattico). Non solo per l’anagrafe il Guerin che abbiamo più amato è stato quello della prima direzione di Italo Cucci, dal 1975 a poco dopo Il Mondiale di Spagna: taglio critico, tante rubriche di opinione (in un’epoca in cui arrivavano a malapena le notizie), inchieste, tanta gente che sapeva scrivere, apertura a diversi sport: per anni la rubrica di Aldo Giordani è stata di assoluto culto. Non sappiamo quante altre volte Cucci abbia poi diretto il giornale (almeno un paio) o avuto una rubrica, ma da quell’epoca d’oro ad oggi il giornale ha avuto il grande merito di rivolgersi più agli appassionati di calcio che ai tifosi. Quasi con ogni direttore, dai più bravi ai più scarsi: alcuni con una sensibilità multisportiva, gli altri monomaniaci. Si va al solito discorso: tanti complimenti, ma i numeri purtroppo si fanno con una scelta di campo ben precisa. E dalle trecentomila copie a numero del 1982 si era arrivati negli ultimi tempi a 43.862 (dati Ads, per quello che valgono). Con il mensile e le sue filiazioni web i conti potrebbero tornare, ma anche no: vedete in giro tutta questa gente desiderosa di approfondimento? In ogni caso non è che un giornale possa stare in piedi solo per renderci meno tristi. Ci lamentiamo della scomparsa delle librerie indipendenti, poi siamo i primi a comprare i libri su Amazon.
Stefano Olivari

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