L’ultima Messa di Vasco

4 Agosto 2011 di Andrea Ferrari

di Andrea Ferrari
Il fatto che in queste ora Vasco Rossi abbia annunciato il ritiro dall’attività di rockstar (il che probabilmente vorrà dire solo uno stop ai tour negli stadi) rischia di rendere in qualche modo storica la recente serie di concerti che ha tenuto a San Siro.
Così come si va a Lourdes o alla Mecca per toccare con mano la devozione verso una religione, allo stesso modo le esibizioni del Vasco nazionale a San Siro rappresentano l’espressione massima d’un culto che ha ormai ampiamente travalicato la sfera musicale. Una devozione nei confronti di chi, meglio di chiunque altro, ha saputo unire il sublime al trash: dalle pennellate di pura poesia di un’Albachiara al linguaggio da osteria n°20 di Rewind, questa sua formula magica (è lui stesso ad aver elaborato una para-teoria sul suo successo) l’ha reso una sorta di divinità dello stivale: se fondasse un partito prenderebbe i voti necessari per entrare in parlamento, se fosse un’azienda, le sue obbligazioni sarebbero più appetibili e sicure di un Bund tedesco dati i puntuali incassi dei suoi tour, ormai a cadenza annuale.
Il pendolo costante tra trash e sublime caratterizza anche il solenne rito della chiesa del Blasco
che si dispiega nelle quasi tre ore di show di cui un buon terzo va considerato perso tra pause varie, un lunghissimo intermezzo strumentale con tanto di equilibrista che volteggia sul secondo anello dello stadio oltre agli interminabili discorsi-prediche del rocker di Zocca, anch’essi in equilibrio tra accenni di grandi spessore e deliri biascicati come quando, parlando del valore della vita, passa nel giro di pochi istanti, dallo sbarco in Normandia in cui era stato messo in conto che 2 soldati su 3 sarebbero morti falciati dal fuoco nemico ad una sorta di difesa di chi uccide guidando ubriaco, un’uscita talmente sgangherata che gli è valso qualche fischio persino da un pubblico totalmente devoto nei suoi confronti.
Da un punto di vista musicale il concerto fatica ad accendersi con la prima parte che vede protagoniste le scialbe canzoni del suo ultimo album
nonostante la macchina da guerra sonora capitanata dai vecchi compagni d’avventura Solieri, Golinelli e dal neosposo dell’ex velina Corvaglia, Stef Burns (“l’avrei sposato io” dice Vasco al momento delle presentazioni), più un numero imprecisato tra coriste e polistrumentisti. Lo “scollinamento” arriva con i primi classici (tra le nuove solo “Eh già” raccoglie la stessa ovazione) in cui anche il palco dispiega al massimo la capacità di fuoco e ciò avviene in senso letterale al momento de “Gli spari sopra” dove è tutto un susseguirsi di rimandi tra veri fuochi pirotecnici ed il fuoco che appare sui grandi schermi mobili a led.
Dal punto di vista visivo l’ispirazione agli U2 è evidentissima: dallo sviluppo verticale che rimanda alla torre del Claw dell’ultimo “360° tour” all’auto a penzoloni usata come faro, un palese rimando alle Trabant dello ZooTv Tour di inizio anni ’90, un omaggio più che un plagio tant’è vero che Vasco ha recentemente dichiarato che considera Bono&c. i migliori in assoluto. Quando si accendono le luci dopo una commovente Albachiara, ultima canzone dello show, il dispiegamento degli striscioni dei fan è impressionante: “Vascoolizzati” “Bresso gode” “Vasco o niente” “Siamo solo noi generazione di sconvolti” “Vasco con te ad ogni costo” tanto che verrebbe da dire: “Andate in pace nel nome di Vasco”. Amen.

Andrea Ferrari
(26 luglio 2011, in esclusiva per Indiscreto)

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