L’isola di Arturo

28 Febbraio 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
La settimana di Kenney, la rabbia di Bariviera, il segreto di Bird, le bocciature NBA, la costante delle grandi, il locale di Mancinelli, gli allenatori di Roma. Voti a Rakovic, Melli, Diener, Bonamico, Pungetti, Mantica, Bechi, Lardo, Sky e Lottomatica.

Oscar Eleni da Procida, l’isola di Arturo come la immaginava Elsa Morante, come la vorrebbe vivere Arturo Kenney leggendo le storie di eccellenti condottieri. Kenney il rosso che ha conquistato Milano dopo Le Mans, ma anche Napoli ed è per questo che ha continuato a leggere le storie degli eccellenti condottieri nel suo viaggio del dolore, per andare alla messa funebre in onore di Cesare Rubini e, prima ancora, a portare fiori sulla tomba del suo fratellone Pino Brumatti, accompagnato da Andolfo Basilio, il suo mentore per una vita spesa nel nome di una grande società, il suo ispiratore per quell’ironia che adesso manca del tutto ai padroni del vaporetto. Sul vapore da Napoli a Procida per non sentire altro che il profumo del mare e dei ricordi, lui che non ha dimenticato nulla, né un gesto, ne un fischio arbitrale, né una partita importanate. Racconta come se fosse accaduto ieri. Ricorda persino con affetto gli arbitri Albanesi e Zambelli che pure gli sono costati qualche oncia di pelle e di gloria.
Senti Kenney e il suo circolo di amici milanesi per la pesca con la mosca e capisci perché nella settimana milanese hanno voluto incontrarlo quasi tutti, non chiedeteci chi ha fatto finta di non sapere perché già lo sapete, perché gli ha fatto un grande piacere andare a cena con Iellini e la sua nuova compagna a Trieste, perché aveva ancora voglia di fare battute incontrando Corrado Vescovo e la sua balalaika, perché non ha mai smesso di voler bene a Renzo Bariviera anche se lo ha trovato inacidito e ancora più arrabbiato adesso che ha sessant’anni e racconta le cose soltanto dal suo punto di vista senza capire perché era un grande giocatore dell’Olimpia, ma non uno che potesse integrarsi nel gruppo anche se lo hanno tenuto per sei stagioni. Certo che erano bugiardi Bogoncelli, Rubini, magari qualche compagno che lui non capiva, ma erano nel gruppo e lo hanno amato davvero senza se e senza ma. Kenney è il suo opposto. Lui ha voluto bene e vuole bene a tutti, senza se e senza ma.
Su questa grande differenza si costruiscono squadre che poi fanno storia come ha detto Larry Bird nell’intervista al Corriere della Sera, nella chiaccherata con Roberto De Ponti che poi preparava il sacco, insieme alla figlia, per andare a Londra insieme alla squadra femminile che si è tassata per poter vivere l’evento della NBA trasferita nell’arena che poi ospiterà l’Olimpiade del 2012. De Ponti e queste adorabili follie dei giovani che al carnevale ambrosiano preferiscono quello della NBA del metodo sterniano, anche adesso che si sono accorti di avere troppe squadre (e noi?), anche in questi giorni dove si parla male di tutto il sistema e all’orizzonte c’è la possibilità di una serrata che fa diventare curiosi persino i dirigenti delle società europee già piene di debiti perché si augurano che qualche bel tipo venga qui a bersi vino buono e a mangiare in stile slow food come piacerebbe ad Antonio Tavarozzi che lavora per l’organizzazione più importante per la difesa della cultura italiana e non soltanto in cucina o negli orti, il secondo della famiglia baskettara dopo Silvio Trevisani che ci manca più oggi di ieri, più adesso che siamo totalmente confusi davanti a chi non riesce neppure a capire cosa vuol dire Indignazione.
State nella cesta e pensate agli Arturo Kenney che dovete cercare e non ai ragazzi d’oro traumatizzati dalle bocciature NBA. Perché non siamo stupiti per certi divorzi? Perché se non ti dedichi alla vita di gruppo sei nato per fare altri sport, perché se non stai bene con il tuo compagno di squadra allora è meglio se vai da un’altra parte. Ci vuole spirito di sopportazione per stare tanto tempo insieme, lo dicono tutte le mogli disperate e anche le vedove meno disperate, perché non si sa mai che gente è chi sposa certa gente, come diceva un grande attore in un film di cavalli, di eroismo, di sofferenza, di liquidi tagliati con la stricnina.
Kenney e il suo ricordo che ci ha illuminato una giornata troppo fredda, che ha parlato al telefono con Dino Meneghin, nemico di allora ma avversario onorato sempre, che ha preso appuntamento con Franco Grigoletti per andare a pescare trote verso Amblar, ricordandosi di tutti i giornalisti che erano fratelli in armi, nemici sul campo della critica, amici fuori, come dovrebbe sempre essere, ricordando chi colpiva per fare male, ma senza l’astio del Bariviera che non ha mai perdonato a Sandro Gamba e a Rubini di averlo lasciato fuori dalla Nazionale per le Olimpiadi di Mosca, urlando a tutti che fu un barbarie anche peggiore di quella del Principe che gli negò la maglia azzurra da portare via come ricordo per non rovinare una serie numerata. Certo che ha ragione Barabba per il suo risentimento, ma forse hanno avuto ragione anche gli altri, e adesso lo si capisce meglio, a non credere mai nella sua conversione alla vita che era speciale per quel Simmenthal, così come lo era per quella Ignis, così come lo è stata per certe Virtus, per la Siena di oggi dove puoi partecipare alla festa di un anno, ma se non capisci allora grazie e arrivederci come potrebbero dire Forte, lo stesso Hawkins, per tutte le squadre che erano famiglia senza tollerare troppo i parenti serpenti.
In questa settimana di novene per il Montepaschi che ha passato il secondo sbarramento di eurolega pur avendo dovuto rifare la squadra appena costruita così bene in estate, in questi giorni dove le finali di coppa Italia della serie A2 hanno fatto capire che se hai fantasia, amore per quello fai, puoi anche inventarti un evento che mangia la faccia a tante altre iniziative farlocche, nella settimana del silenzio due squadre hanno scelto di andare in ritiro terapeutico. Lo ha fatto Milano portando i suoi lanzi in quel di Lecco, lo ha fatto Roma portando i suoi reduci a Trieste dopo la prima vittoria della seconda fase di eurolega a Lubiana, lo ha fatto andando a casa Tanjevic, ma godendo dell’appoggio logistico del Matteo Boniciolli che non ha mai perso la fede in certe cose importanti della vita per il mestiere difficile che ha scelto. Milano sembrava ombrosa e depressa, ma poi il campo le ha ridato vigore anche se mentre cresce Hawkins si confonde sempre di più il Mancinelli che non ascolta le leggi del campo, ma soltanto quelle del fumoso locale dove tutti gli sussurrano che è un numero uno anche se quando tira da tre punti, lui come il Falco treccioluto, tutti si mettono le mani sugli occhi nella speranza che sbagli il primo e poi non ci provi più.
Roma è partita benissimo, sembrava addirittura squadra, ma poi ha scoperto che i peccatori di Treviso non potevano mollare in questa burrasca creata dal divorzio con la seconda generazione dei Benetton, sono i figli che hanno mandato per aria il difficile rapporto di famiglia, e allora hanno dovuto arrendersi perché avevano i giocatori contati. Non hanno giocato male, hanno perso, ma la setta romana che mangia allenatori, che fa scappare i Pesic, i Repesa, i Bodiroga, che si farà mandare al diavolo persino da un sognatore come Boscia Tanjevic che ha già in mente la Roma bella del futuro, senza rendersi conto che fra Orsini e Colonna ci saranno sempre pugnalate e veleni, quelli che Montella era più bravo di Ranieri fino alla prova contraria della rimonta al parmigiano brasiliano, quelli che ne sanno una più di te su Petrucci, Pescante, Montezemolo e bagni all’Aniene, sullo sport in genere, hanno sparato a zero vedendo lo stesso male delle sconfitte sporche in questa caduta per motivi fisici e non tecnici. Volete le pagelle perché non ne potete più? Giusto.  
10 Al RAKOVIC senese perché non era facile diventare importante in una squadra che amava il vecchio ombrello di Eze, perché no
n credevamo ai suoi progressi tecnici anche se nell’estate del palio di agosto vederlo girare in Banchi di sopra con la faccia del curioso che si innamora della città e della sua storia ci aveva fatto capire che esiste una cultura diversa dall’americano con cuffia.  
9 Al Niccolò MELLI che ha accettato meno quattrini per andare a giocare di più. Sembra un ragazzo di altri tempi. Ora ci auguriamo che trovi allenatori di altri tempi capaci di dedicargli ore per imparare gli assolo restando nel coro, come nei Coristi del francese Baratier.  
8 Al DIENER di Sassari che ha fatto rinascere persino negli adoratori del satanismo statistico, in quelli che ti dicono quanto hai segnato anche nell’estate al mare, ma non come e quando lo hai fatto, l’idea che potrebbe essere migliore, più godibile, un basket governato da direttore d’orchestra che conosce a memoria lo spartito, ma sa anche variare sul tema.  
7 A Marco BONAMICO e ai suoi Sancho PUNGETTI e MANTICA perché la loro passione e fantasia ci fanno dimenticare che il presidente della A2, da ragazzo, tornava sempre a casa con qualche livido per rissa prolungata e forse per questo capisce e non riesce ad adeguarsi.  
6 Al BECHI volgarmente scaricato dai soloni di Biella perché la sua battaglia per la salvezza di Brindisi, difficile, costosa se sarà da penultima classificata, dimostra che farà bene a difendere sempre la sua livornesità e mai la sua appartenenza al clan delle lavagne fumanti.  
5 A Lino LARDO, che merita certo un nove alla VITUCCI, per aver aspettato così tanto a dire in faccia, ai soliti noti della Bologna che ha troppi cadaveri a Spoon River per sentirsi ancora Basket City, quello che è la Virtus di oggi e che dovrà esserlo fino alla fine: brutta, sporca e, magari, cattiva.  
4 Al PROGRAMMATORE SKY che ci fa venire il dubbio di aver scelto certe partite per fare massa e non audience. Vero che tutti devono essere mandati in onda, ma non è vero che su tutte le onde si può fare il surf preferito.  
3 Alla LOTTOMATICA Roma se non trova in fretta l’esorcista per togliere il virus che fa della squadra di Toti la più tormentata: per gli infortuni colpa delle cartilagini, ma per influenze e polmoniti possiamo pensare che anche nel clima dolce c’è gente che ama il capello bagnato da esibire al vento.  
2 Agli ARBITRI che continuano ad alimentare il sospetto sui fischi discrezionali: 3 secondi quando capita, passi quando si vuole passare per super maghi, contatti alle spalle tollerati se ti chiami pinco e non pallino, puniti se mi serve per tacitare il pubblico ululante. Non si capisce più come impostare le difese. Vero, come dicevano a Milano e Varese che se picchiano tutti l’arbitro fa fatica a capire chi ha menato per primo, ma è anche verissimo che per i nostri fisici, il nostro gioco, la lezione arriva nuovamente da Siena, dalla Nazionale di ieri con Primo e Gamba, ma anche quella di oggi pensando a Pianigiani e al Monte, dal principio di Repesa che non capiranno mai i dipendenti dal giullarismo ideologico, se non possiamo contare sulla difesa a palpazione, come diceva Diaz Miguel accusando gli azzurri di Gamba, ci perdiamo l’uomo e poi ci perdiamo anche le partite. Scegliete un metodo e applicatelo fino alla fine.  
1 Al METRO’ che porta finalmente i tifosi di basket milanese al Forum di Assago perché nello stesso momento in cui si faceva festa per un evento atteso più di 15 anni è venuto fuori il problema della folla che, lasciando il palazzo, fa traballare il ponte e alimenta i rimorsi di chi vorrebbe già chiudere il passaggio e, forse, la stazione dove si arriva pagando uno sproposito.  
0 A BIELLA, CASERTA, TREVISO, MONTEGRANARO, tutte squadre che hanno avuto anche un giorno di gloria, ma che spesso vivono nella disperata ricerca del Godot che è nella loro testa.

Oscar Eleni

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