Le quote di Babele

14 Aprile 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Per chi volesse approfondire la conoscenza del betting l’ostacolo non è tanto la lingua inglese quanto il modo in cui vengono indicate le quote a seconda del paese. Senza inerpicarci in discorsi su puntate speciali o handicap, possiamo dire che nel mondo delle scommesse a quota fissa ci sono fondamentalmente tre modi di indicare il pronostico secco su una partita. Il primo è quello più conosciuto in Europa (ma stranamente usato anche in Australia e Canada), cioè quello decimale: se il bookmaker ritiene che la Juventus abbia il il 50 per cento di possibilità di vincere una partita la quota nell’agenzia di Torino sarà di 2,00 (100 diviso 50). Il secondo è quello frazionale, tipico di Gran Bretagna e Irlanda: le agenzie di Dublino o di Londra offriranno la squadra di Ranieri a ½ (‘one-to-two’ se scrivete, mentre in agenzia l’impiegato potrebbe dirvi ‘two-to-one on’). Il terzo è quello americano, la cosidetta ‘moneyline’: per esprimere la stessa offerta a Las Vegas segneranno ‘Juventus meno 200’, cioè la somma necessaria da scommettere su di lei per vincere teorici 100 dollari. I problemi non nascono puntando, perché ognuno bene o male gioca a casa sua, ma studiando: i principali testi sono americani (con un’enfasi spesso assurda sullo ‘spread’) o inglesi (di solito testi sull’ippica adattati), quindi all’appassionato di altri paesi passa spesso la voglia di informarsi. Ci rifacciamo con gli exchange: anche quelli anglosassoni preferiscono quasi sempre le quote decimali, che permettono meglio delle altre di far incrociare domanda e offerta anche con piccoli volumi.
(pubblicato sul Giornale di oggi)

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